L'italiano stava nei giornali, nei libri stampati e piuttosto malconcio nelle rare lettere che si scrivevano a persone lontane, non tanto perché i destinatari non capivano il dialetto, quanto perchè nessuno sapeva come scriverlo.
Lo stesso dialetto non era uguale per tutti. Nell'ambiente contadino il "tetto" e il "letto" si dicevano teciu, leciu ma al plurale tici e lici.
Al centro del borgo invece si pronunciavano tec e let.
Poche famiglie distinte usavano per una loro tradizione più signorile, il milanese. E quando un legnanese doveva usare l'italiano parlando con un forestiero o leggendo un testo ad alta voce, immetteva nell'italiano i suoni più cupi del dialetto come quelle a oscure che in questo libro sono indicate con un circoletto sopra la vocale.
E' interessante ricordare la presenza di un sostrato ligure nei dialetti attorno a Legnano e Busto Arsizio. Non si tratta di contatti fra i nostri paesi e quelli affacciati sul mar Ligure.
I fatti risalgono alla preistoria, quando le terre dal Rodano alla vai Camonica erano abitate da tribù liguri.
Il loro linguaggio nella seconda metà del primo millennio a. C. fu trasformato prima dalla dominazione gallica, che non penetrò dappertutto in egual misura, poi da quella più profonda e decisiva dei Romani.
I Liguri più tenaci rifugiati sui monti che presero il nome di Liguria, conservarono certe loro caratteristiche culturali.
L'influsso dei Galli ha diffuso una tendenza a contrarre le parole latine, quando anch'essi si convinsero ad abbandonare la propria lingua e adottare quella dei dominatori Romani. Allora molte parole perdettero gradatamente le vocali non accentate.
Chi abitava sui monti della Liguria non avendo subito una celtizzazione profonda si sottrasse, almeno in parte, a quella tendenza e così avvenne per una tribù incuneata lungo l'Olona tra la brughiera a Ovest e i boschi a Est verso Tradate-Saronno.
Perciò parole come lectu, lacte all'interno di quella zona divennero leciu e laci, all'esterno invece lec' e lac' (e così tantissime altre parole).
La presenza di una vocale, e quindi di una sillaba in più imprime un ritmo diverso alla parlata.
Un altro fenomeno comune coi Liguri riguarda l'indebolimento e il dileguo di r tra due vocali. Esso non riguarda Legnano e la sua pieve ma soltanto le pievi di Busto Arsizio e Dairago. Di qui il contrasto Urona: Uona, dur: dùu, ecc.
Confrontato col milanese il dialetto di Legnano rivela affinità ma anche differenze profonde.
La più importante è che essi rappresentano culture diverse.
Cittadino e signorile il milanese, più povero e contadino il legnanese.
Il primo si avvale anche di una tradizione letteraria e poetica, che a Legnano è sempre mancata, se si esclude qualche nostro contemporaneo. Ma la tradizione dei Maggi, Porta, Tessa ecc. ha un debito enorme colla letteratura italiana.
Ne La nomina del Cappellan la Marchesa dice:
Avria suppost, che essendo Sacerdott Avesser un pò più d'educazion...
Un popolano non avrebbe mai usato "essendo", "suppost", "Sacerdott" che vengono dalla lingua italiana.
Così dicasi della metrica che il Porta ha preso dalla letteratura nazionale e via dicendo.
I Legnanesi fino al secolo scorso erano contadini e artigiani analfabeti. Il lessico si riferiva alla vita familiare e a quella dei lavori agricoli, con una sintassi elementare.
Una particolare attenzione va data ai suoni nasali, che spiccano nel milanese. In parole come be, bn (bene, buono) a Milano la consonante n non viene pronunciata, ma la vocale precedente ha una forte risonanza nasale.
A Legnano invece bene si dice ben con n chiaramente articolata, buono si rinforza addirittura in m, bum. Solo la vocale più aperta a (per esempio pan, "pane") permette di tacere n mentre la a ha una debole nasalizzazione (ma io ricordo di aver sentito anche p an).
La casa contadina coll'abitazione in procinto della strada e le stalle coi fienili in fondo alla corte è stata sostituita da una specie di alveare a diversi piani colle stanze tutte uguali collegate dal ballatoio (ringhiera o in legnanese ca da ringhera) come passaggio obbligato verso l'unica scala.
La nascita dei moderni dialetti è riconducibile alla situazione che si creò dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente. La popolazione locale subì infatti una regressione amministrativa, economica, demografica e culturale che portò alla formazione di piccole comunità isolate tra loro. A causa dell'isolamento che patirono questi gruppi, la lingua parlata si evolse in diverse varianti, che erano caratteristiche della comunità che le utilizzava. I confini linguistici di questi dialetti si definirono poi nei secoli successivi con l'istituzione delle pievi. Queste circoscrizioni erano infatti il punto di riferimento di una comunità specifica, che infatti gravitava intorno ad esse per discutere e risolvere le questioni quotidiane. Come conseguenza, in corrispondenza di ogni pieve, nacque un'isoglossa i cui confini linguistici sono giunti, a parte modifiche minime, fino al XXI secolo.
Legnano, a partire dall'XI secolo, iniziò a legarsi con Milano. Il borgo legnanese, infatti, rappresentava, per chi proveniva da nord, il passaggio di accesso al contado milanese e quindi aveva un'importante funzione strategica per la città meneghina. Questo ruolo acuì gli attriti con Busto Arsizio, che invece continuò ad essere legata al Seprio. Il legame tra Legnano e Milano influenzò anche il vernacolo legnanese, che iniziò a differenziarsi dal dialetto bustocco. Infatti, grazie ai frequenti contatti tra le due città, il dialetto milanese iniziò a "contaminare" l'idioma parlato a Legnano. Nonostante questa tendenza, il dialetto legnanese continuò però a conservare una certa diversità rispetto alla parlata meneghina. Questa "contaminazione" continuò fino al XIX secolo, quando subì un'accelerazione. Il processo era così veloce che, nel secolo citato, si crearono lievi differenze anche tra i vernacoli parlati da generazioni contigue. A questo processo di contaminazione da parte del milanese si aggiunse in seguito quello della lingua italiana.
Il dialetto milanese ebbe un ruolo importante per Legnano anche per un altro motivo, questa volta di carattere sociale. Fino all'inizio del XX a Legnano erano infatti in uso due idiomi: le classi più popolari utilizzavano il dialetto legnanese vero e proprio, mentre i cittadini più abbienti parlavano il vernacolo milanese. Già dal Medioevo, infatti, era comune il fatto che alcune famiglie nobiliari milanesi soggiornassero a Legnano in vari periodi dell'anno, e ciò contribuì ad accentuare questa tendenza.
Un importante tratto fonetico distintivo che è presente nel dialetto legnanese ed in quello bustocco, e che differenzia queste parlate dagli idiomi delle isoglosse contigue, è la conservazione delle vocali finali non accentate. Nello specifico, il fenomeno della loro elisione - ad eccezione della -a - è iniziato verso il IX secolo in Francia, Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia, ovvero nelle aree un tempo dominate dai Celti. Ad esempio, in dialetto milanese si dice temp (tempo), öc (occhio) e urèc (orecchio), mentre a Legnano i termini utilizzati per esprimere gli stessi concetti sono tempu, ögiu e urégia. La medesima conservazione delle vocali atone la ritroviamo anche nei dialetti di Galliate e Borgomanero. Questa regola è stata applicata anche a vocaboli nati relativamente recentemente. Ad esempio "cassetto", che è entrato nei vocabolari nel XV secolo, in dialetto milanese viene espresso come casèt, mentre a Legnano si dice casétu. A causa però della contaminazione del dialetto milanese, il vernacolo di Legnano non conserva la vocale atona finale per molte parole. Ad esempio, a Busto Arsizio si dice düu (duro) e udùi (odore), mentre a Legnano si esprimono gli stessi concetti con dür e udùr.
Un'altra importante differenza tra il dialetto legnanese e quello bustocco riguarda la -r intervocalica. Nel vernacolo legnanese è stata conservata, mentre in quello bustocco è stata eliminata. A Busto Arsizio, infatti, si dice candìa, Uona e sia per riferirsi a "candela", "Olona" e "sera", mentre a Legnano si utilizzano i termini candìra, Urona e sira. Anche questa peculiarità che contraddistingue il dialetto legnanese da quello bustocco è mutuata dal vernacolo milanese. La caduta della -r intervocalica è oggetto di alterazioni anche in molti dialetti francesi.
Il dialetto legnanese era caratterizzato da un lessico peculiare che, nel corso dei secoli, si è gradualmente impoverito a causa della standardizzazione del vernacolo di Legnano al milanese e, in seguito, all'italiano. Un tempo il termine specifico del dialetto legnanese per riferirsi all'arcobaleno era rasciùm (in seguito, i legnanesi, per esprimere il medesimo concetto, hanno iniziato ad utilizzare il vocabolo arcubalén). Un altro esempio è il ragiù, che in dialetto legnanese significa "capofamiglia" (l'associazione locale "Famiglia Legnanese" utilizza questo termine ancora nel XXI secolo per definire la carica corrispondente al capo rappresentativo del sodalizio). Il dialetto bustocco non però è meno vario. A Busto Arsizio, ad esempio, esistono cinque vocaboli per definire la "nebbia": nébia, caligiu, brögia, scighéa e luèsa.
Nei secoli passati era differente anche il termine utilizzato per denominare Legnano. La popolazione meno abbiente, che utilizzava il dialetto legnanese vero e proprio, definiva la propria città Lìgnan, mentre le classi più ricche, che parlavano il dialetto milanese, chiamavano il loro abitato Legnàn. Però, già all'inizio del XX secolo, il primo vocabolo menzionato è diventato desueto. Altri vocaboli arcaici del dialetto legnanese che sono scomparsi sono ardìa (fil di ferro. In seguito i legnanesi hanno iniziato ad utilizzare il termine fil da fèr), bagàtu (calzolaio. In seguito è entrato in uso il termine sciavatìn), buarùm (pantano prodotto dallo sciogliersi della neve". Dopo si è cominciato ad utilizzare il vocabolo generico palta, cioè "fango"), instravilà (mettere sulla buona strada) e insurmentì (addormentarsi. In seguito i legnanesi hanno iniziato ad usare il termine indurmentàs). Come tutti i linguaggi, il dialetto legnanese si è arricchito, anche in tempi recenti, di neologismi. Un esempio è Cantunificiu, che è il vocabolo legnanese per chiamare il Cotonificio Cantoni.
Il dialetto legnanese, a differenza dell'italiano, possiede quattro coniugazioni verbali.
Il verbo ausiliare "vès" (essere):
Indicativo presente: mì (a) sóm, tì te sé, lü (a) l'é, nün (a) sèm, vióltar (a) sì, lur (a) ìn.
Indicativo imperfetto: mì (a) sévu, tì te sévi, lü (a) l'éva, nün (a) sévum, vióltar (a) sévi, lur (i) ìvan.
Indicativo futuro: mì (a) saró, tì te saré, lü (a) l'sarà, nün (a) sarèm, vióltar (a) sarì, lur a (a) saràn.
Congiuntivo presente: che mì sìa, che tì ta sìa, che lü l'sia, che nün sìum, che vióltar sìi, che lur sìan.
Congiuntivo imperfetto: che mì füsu, che tì te füsi, che lü l'füs/füdés, che nün a füsum, che vióltar füsi, che lur a füsan.
Condizionale presente: mì sarìa/sarisu, tì te sarìa/sarisi, lü a l'sarìa/sarìs, nün sarìum/sarìsum, vióltar sarisi, lur sarìan/sarìsan.
Infinito presente: vès
Participio passato: sta.
Il verbo ausiliare "avé" (avere):
Indicativo presente: mì ó, tì t'é, lü l'à, nün èm, vióltar avì, lur àn.
Indicativo imperfetto: mì évu, t'évi, lü l'éva, nün évum, vióltar évi, lur évan.
Indicativo futuro: mì avaró, tì avaré, lü l'avarà, nün avarèm, vióltar avarì, lur avaràn.
Congiuntivo presente: che mì abia, che tì abia, che lu l'abia, che nün àbium, che vióltar avì, che lur àbian.
Congiuntivo imperfetto: che mì avésu, che tì t'avési, che lu a l'avés, che nün avésum, che vióltar avisi, che lur avésan.
Condizionale presente: mì avarìa/avarisu, tì t'avarìa/avarisi, lu l'avaria/avarìs, nüm avarìum/avarìsum, vióltar avarisi, lur avarìan/avarìsan.
Infinito presente: avé.
Participio passato: vü.
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