mercoledì 27 maggio 2015

IL MARE IN PIANURA

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Anticamente, fra Milano, Lodi e Cremona si stendeva un grande lago chiamato Gerundo :
di quelle acque restano solo pochi ricordi suggestivamente animati da varie leggende.

Questo succedeva oltre un milione di anni fa, quando Milano e la Lombardia intera non esistevano. Considerato che questo vasto golfo adriatico arrivava a lambire le zone dove oggi sorgono Mondovi, Saluzzo e Cuneo. Poi la crosta terrestre cominciò a sollevarsi e, contemporaneamente, il clima fresco e piovoso provocò l'aumento dell'azione erosiva dei fiumi che scendevano dagli Appennini.

Veniva chiamato ora lago ora mare, ma la parola mare va presa con cautela: nel nostro caso è una parola del basso latino mara che significa palude. Da questo mare poco profondo ma molto esteso (circa 35 Km da est a ovest e 50 Km da nord a sud) emergevano isole e isolette molto allungate. La più grande era l'isola Fulcheria su cui si sviluppò la città di Crema.

Lodi era città costiera affacciata alla sponda ovest del lago, Orzinuovi era costiera sulla sponda opposta (o meglio, tale sarebbe stata se fosse esistita ai tempi del lago). A nord il lago raggiungeva Vaprio, a sud Pizzighettone. Il lago doveva essere una distesa di acqua alimentata dagli straripamenti dei tre fiumi e dalle risorgive di provenienza sotterranea. La profondità variava dai dieci ai venti metri con punte sui venticinque. Nelle aree meno profonde erano frequenti le formazioni paludose; a Genivolta venne trovata un'ara, conservata oggi al museo di Cremona, dedicata alla dea italica Mefite, sovrana delle paludi.

Ancora in epoche relativamente recenti abbiamo notizia di grandi aree padane allagate in maniera permanente, tanto da diventare dei veri e propri laghi che i fiumi, non disciplinati da argini e canalizzazioni, alimentavano, soprattutto nei mesi primaverili e autunnali.

Nella parte orientale della Padania, il Po si diramava in sette braccia che penetravano in una regione sempre incerta tra le terre e le acque, selvaggia, abitata da gente tagliata fuori da ogni consorzio civile.
La regione era detta "Septem Marie", o Sette Mari, e di queste immense paludi restano oggi soltanto le Valli di Comacchio. C'era poi il lago Bondeno, a sud del Po, tra Ferrara e la Mirandola, tanto vasto e profondo che una leggenda locale lo considerava fundo carens, senza fondo, e direttamente collegato al Paese degli Antipodi. A nord del Po, fino a poco più di cent'anni fa, si stendevano le Grandi Valli Veronesi.

A sud, verso Bologna, la palude di Crevalcore sfiorava quella dei Sette Mari. Ma nessuno di questi specchi d'acqua, un poco lago e un poco palude, era ricco di acque e navigabile quanto i Gerundo. Come gli altri bacini di pianura, il Gerundo non è mai stato di una vastità costante.

Dipendeva dai fiumi che lo alimentavano, l'Adda, l'Oglio e il Serio (con qualche apporto forse anche dal Lambro), e perciò dall'andamento climatico; e dipendeva da gli uomini che abitavano la Padania. I coloni del periodo romano sicuramente ne prosciugarono grandi tratti bonificando i terreni per coltivarli.

Alcune strade consolari lo attraversarono, a dimostrazione che in talune epoche il Gerundo non era un'unica superficie lacustre, ma un insieme di bacini. L'epoca della sua massima espansione fu sicuramente quella che coincide con la caduta dell'impero romano e le successive invasioni barbariche, quando l'Italia tornò in gran parte preda delle foreste e delle paludi, e così fino all'Xl secolo, quando l'uomo della pianura cominciò a riconquistare il territorio partendo soprattutto dai monasteri benedettini, centri di lavoro e di studio, oltre che di preghiera.

Nell'Alto Medioevo, quando il Gerundo era un'unica gigantesca superficie con al centro l'Insula Fulcheria", i suoi confini dovevano sfiorare (partendo da nord) i luoghi dove sorgono attualmente i paesi di Vaprio, Cassano, Lodi, Cavena, Cavacurta, Pizzighettone, Grumello (risalendo verso nord), Cortemadama, Madignano, Offanengo, Vidolasco, Castelgabbiano, Caravaggio (verso ovest), Treviglio, Brembate.

I confini dell'isola Fulcheria, nel bel mezzo del Gerundo, erano grosso modo delineati dagli attuali centri abitati di Azzano, Palazzo Pignano, Casaletto, Montodine, Formigara, San Bassano, Ripalta Arpina, Crema, Ombriano, Trescore.

Un'epoca remotissima che risale al periodo postglaciale dell'Olocene, quando le alluvioni corrosero il materiale facilmente asportabile depositato in precedenza, creando così un ampio bacino, con l'eccezione dell'allungato conoide dell'isola Fulcheria e di altre isole più piccole.

Un'epoca remota, quando i fiumi della zona riunirono le loro acque formando la distesa lacustre sulle cui sponde cominciarono a insediarsi i primi nuclei di uomini; siamo nell'epoca in cui la gente del neolitico conquista la pianura.

Un'epoca di mezzo, caratterizzata dalle progressive bonifiche dell'uomo, con successivi abbandoni e altri recuperi del territorio; i fiumi vengono adagio disciplinati, vengono costruiti fossi scolmatori e canali, gli acquitrini prosciugati e i terreni asciutti messi a coltura; dove il lago era più profondo restano banchi di ghiaia e di sabbia; restano anche, fino a pochi anni fa, piccole chiazze di palude vera e propria, dette Mosi.

Il Gerundo non doveva essere molto profondo, perché era pur sempre un lago "di pianura", e non di origine tettonica e neppure glaciale: gli unici esempi ancora visibili sono i laghi di Mantova, tre laghi acquitrinosi che costituivano fino a pochi anni fa un interessante biotipo padano: oggi restano poche tracce di flora palustre, con carici, felci idrofile, scirpo, potamogeti, ninfee e castagne d'acqua.

Infine un'epoca moderna, che è la nostra, durante la quale ogni traccia del lago è sparita, almeno per un osservatore non specialista e non attento: il paesaggio è quello padano classico, con campi coltivati organizzati in una rete di canali di scolo che impediscono ogni ristagno delle acque; con l'eccezione delle zone dove l'acqua sgorga dal suolo dalle cosiddette risorgive.
Sulla sua esistenza abbiamo prove geologiche, archeologiche, documentali. L'esplorazione del territorio del Gerundo, e cioè la provincia di Bergamo nella parte meridionale, la provincia di Cremona nella parte superiore, oltre al Lodigiano e a tutto il Cremasco, muovendosi tra musei, chiese, ruderi, cave di ghiaia, remoti angoli di campagna dove il terreno è "inspiegabilmente" fatto come la sponda di un lago, consente un viaggio dentro una storia che i libri ignorano.

Una storia che sul posto però non è stata dimenticata. Ad esempio a Lodi e a Crema possiamo trovare strade dedicate alla leggenda: Via Lago Gerundo, Vicolo Gerundo. La parola "gera", o "ghera", che significa ghiaia e dà il nome al lago Gerundo (lago Ghiaioso potremmo tradurre oggi), ricorre spesso proprio al centro dell'area ex lacustre, nella zona detta Gera d'Adda, con i toponimi Brignano Gera d'Adda, Fara Gera d'Adda, Misano di Gera d'Adda, solo per citarne alcuni.

A dimostrazione che il mare Gerundo era navigabile, percorso da barche di pescatori e da piccole (ma non tanto) navi mercantili e da battaglia, esistevano fino a pochi decenni fa gli anelli e i ganci utilizzati per l'ormeggio, come scrive Ambrogio Curti nel suo
"Tradizioni e leggende di Lombardia" (1856): «Delle origini del lago Gerondo, che l'arte degli uomini e il tempo vennero affatto disseccando, sì che più non ne rimangono adesso altre vestigia che nei grossi anelli ed lavori sul gerundoarpioni che in più di un luogo si trovano; onde da tutti si congettura con giustezza che servissero ad affrancare navigli, che per quella vastità di acque correvano a commerci, alla pesca, ed alle comunicazioni coi limitrofi paesi...».

Uno di questi grossi anelli da ormeggio era infisso alla base dell'antichissima torre Poccalodi, che modificata divenne la cappella di San Bernardino nella chiesa di San Francesco a Lodi. Il porto di Lodi sul Gerundo era in località Monte Eghezzone, dove sorgeva la chiesa di San Nicolò. Altre torri adibite un tempo a porti fortificati si trovano anche a Pandino, Truccazzano e Soncino.
Qui è più viva che altrove una tradizione popolare fatta di fiabe, leggende e aneddoti legati all'epoca in cui le onde del mare Gerundo lambivano il paese. La più nota delle leggende attribuisce la responsabilità del prosciugamento del Gerundo al Barbarossa. Sparita l'acqua, i pesci morirono e con loro molti uomini a causa di una conseguente pestilenza. Sopravvisse soltanto una donna, una certa Soresina che se ne andò a fondare un paese non lontano da Soncino, paese che porta ancora il suo nome.

Proprio a Soncino un'altra leggenda vuole che sia nato il drago Tarantasio, o Tarànto, il più famoso degli abitatori del mare Gerundo, seminatore di terrore e di lutti.

Il nome gli derivava dal fatto che, benché rettile, aveva gambe numerose e lunghe, come quelle della tarantola. Lo storico Francesco Castiglioni, nella sua opera "Antichità di Milano", riporta un testo conservato presso l'archivio dei monaci Olivetani: «Nell'anno 1300 dalla natività di Cristo Signor nostro, Bravi intorno alla città di Lodi un certo lago, che per la ingente larghezza e per la grandissima inondazione dell'acqua che vi era fluita, appellavisi mare Gerondo.

Su questo medesimo lago apparve prodigiosamente un velenoso e mostruoso serpente, che col solo alito pestifero infestava tutta la città; per cui molti dal pessimo puzzo ammorbati, morivano.

«Contagio e infermità facendosi di' giorno in giorno maggiori e scemandosi assai il numero degli abitanti, e la città dalla furia dell'acqua essendo invasa, grandemente i cittadini se ne accoravano, e tanto più l'affluizione s'aumentava, quanto meno fosse sperabile rinvenire rimedio che valesse a guarire gli infetti, o a prosciugare l'acqua, o ad estinguere l'animale stesso. «Epperò stando tutti gravemente ín angustia, si rivolsero alla Divina Maestà, colla ferma speranza ch'essa nessuno respinga che con puro cuore le si raccomandi.

Ma perché più facilmente ciò che tanto bramavano avessero a conseguire, il Reverendissimo Bernardino Tolentino, allora vescovo della città, convocato il clero e tutto il popolo, tenne loro pietoso sermone in cui efficacemente pregavali perché con tutto il calore del cuore e con tutta la pietà levassero preghiere a Dio, onde sì degnasse liberare questo suo popolo da quella pestifera strage.

Il medesimo Reverendissimo Vescovo sancì che si facessero per tre giorni continui solenni processioni e si stabilisse un voto: che se Dio operasse che, preso da compassione di quella mortalità, gli avesse a campare da quella velenosa fiera, erigerebbero un tempio in onore della santissima Trinità e del glorioso martire Cristoforo. Né fu certamente quella una vana speranza, perché compite le processioni, e dato il voto, in quello stesso giorno, che fu il primo di gennaio, si ottennero due memorabilissimi miracoli, che morisse cioè l'infestissimo drago e si prosciugasse quell'immenso lago. Laonde i pii cittadini, di questo beneficio immensamente riconoscenti, edificarono un magnifico tempio, come avevano promesso col voto, il quale tempio fu poi più augustamente riedificato dai Reverendi Padri della Congregazione Olivetana nell'anno 1563».

In ogni leggenda di origine popolare c'è sempre del vero. Se poi preferiamo credere nell'esistenza dei draghi, non mancano gli indizi per accettare e accertare la loro presenza nel Gerundo.

Cominciando dall'inizio, dalla nascita del Tarantasio proprio a Soncino. "Padre" della leggendaria bestia sarebbe nientemeno che Ezzelino da Romano, vicario imperiale e genero di Federico III, signore di un territorio che comprendeva gran parte del Veneto e Brescia. Un condottiero tanto feroce che papa Innocenzo IV lo scomunicò e bandì una crociata contro di lui nel 1254, affidandone il comando ad Azzo VII d'Este. A Cassano d'Adda, nel 1259, Ezzelino fu sconfitto e mortalmente ferito. Secondo la tradizione sarebbe stato sepolto proprio a Soncino.

Un arciprete, vissuto in quel paese nel secolo scorso, testimonia di aver trovato sotto la chiesa un sepolcro contenente lo scheletro di un uomo gigantesco, qual era Ezzelino secondo quanto riportato dai contemporanei. Proprio in quel sepolcro, riferisce la credenza popolare, era nato il drago Tarantasio, come una specie di reincarnazione malefica del crudele signore. Tracce di carattere più "scientifico" erano, e sono, custodite in alcune chiese del territorio, sotto forma di ossa gigantesche rinvenute in quelli che un tempo erano i fondali del Gerundo.

Secondo Luciano Zeppegno, grande cronista delle curiosità e delle stranezze sparpagliate nelle nostre contrade, nella chiesa di Sant'Andrea di Lodi era custodito addirittura uno scheletro completo di Tarantasio. Un osso gigantesco, e precisamente una costola di drago del Gerundo, è ancora oggi visibile appesa al soffitto della sacrestia della chiesa di San Bassiano, a Pizzighettone. La costola, probabilmente, appartiene a una balena fossile o a un elefante.

Scheletri di balene sono stati spesso rinvenuti sulle Prealpi e, soprattutto, sull'Appennino che si affacci sulla Pianura Padana. Più interessanti, dal punto di vista storico, altri ritrovamenti che dimostrano l'esistenza dell'enorme specchio d'acqua detto mare Gerundo. Ci riferiamo alle numerose piroghe rinvenute nei fiumi che interessano il territorio. Uno degli esemplari più belli e meglio conservati è visibile nel cortile del Museo di Crema, restaurato con sostanze speciali che ne hanno arrestato il processo di dissoluzione.

Le piroghe del Gerundo sono monossiliche, cioè ricavate da un unico tronco (immaginiamo quanto dovevano essere enormi le querce roveri delle foreste lambite dal Gerundo) e di grandezza variabile a seconda dell'impiego: per la pesca, il commercio o la guerra. La grandezza e la forma delle piroghe dimostra che erano impiegate in acque paludose o lacustri, essendo inadatte alla navigazione fluviale.

Si tratta di imbarcazioni costruite nell'Alto Medioevo con tecniche che risalgono al neolitico. In epoche più recenti, il Gerundo è stato attraversato da vere e proprie navi, le medesime che percorrevano i fiumi e i laghi di tutta l'Europa, fino a raggiungere il mare aperto. Cocche, burchi, bucintori e galee che parteciparono anche a battaglie navali, qui come nella parte più orientale della Padania, dove le flotte fluviali di Venezia e di Ferrara si scontrarono spesso in furibonde battaglie combattute da marinai d'acqua dolce non meno esperti navigatori di quelli delle acque salate.

Del lago Gerundo sono rimasti ricordi e leggende dove storia e fantasia sono difficili da separare. Anche il Gerundo ebbe il suo drago, come il suo fratello scozzese di Loch Ness: il drago Tarànto, che terrorizzo le campagne tra Lodi e Crema. Si diceva venisse dalle viscere della terra di Soncino dove era stato sepolto Ezzelino da Romano, feroce tiranno di parte ghibellina. Ezzelino rimase a lungo nella fantasia della gente. Era un gigante e sulla torre di Soncino si conservarono a lungo, dice la leggenda, due ferri murati che indicavano la sua statura sia a piedi che a cavallo. Della sua sepoltura si è persa traccia , ma in compenso ha lavorato la fantasia. Si tramanda perfino l'epigrafe latina che sarebbe stata incisa sulla sua tomba: Terre Suncini / Tumulus canis est Ecelinis quem lacerant manes / tartareique canes che tradotta liberamente suona: Qui in terra di Soncino / giace il cane Ezzelino. Le sue spoglie mortali / son date in pasto ai cerberi infernali. Il drago, continua la leggenda, fu ucciso da San Cristoforo che liberò le popolazioni dall'incubo. Secondo un'altra versione ad uccidere il drago fu Federico Barbarossa. In entrambi le varianti della leggenda, all"uccisione del mostro seguirono il ritiro delle acque, la scomparsa del lago, i recupero di immense buone terre da coltivare.




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