mercoledì 27 maggio 2015

IL PALAZZO TERNI BONDENTI DI CREMA

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Nella città-paese di Crema ancora a misura d’uomo, colpisce la presenza imponente di questa residenza nobiliare, ma ci troviamo di fronte ad uno dei palazzi più affascinanti di Crema. Immediatamente riconoscibile grazie al cotto lasciato a vista, Palazzo Bondenti è il massimo esempio di barocchetto della città, intuibile immediatamente dal muretto che ne separa la proprietà dalla strada. Anch’ esso in cotto è contraddistinto da enormi oculi che lasciano sbirciare nell’ingresso della proprietà. Maestosi, conferiscono grandissima eleganza creando atmosfere a volte nobili e a volte malinconiche, creando suggestioni romanzesche.

Non è da meno il palazzo, la cui particolarità sta nell’essere incompiuto. Tre sono i corpi, due ali laterali incorniciano il corpo principale arretrato del quale saltano all’occhio le finestre vuote della porzione destra, rimasta addirittura a cielo aperto. Un mix di barocchetto e ruderi che fanno di questo luogo una dimora di estrema eleganza ed un luogo a volte lugubre, aprendo così il campo a leggende e misteri. Il soprannome non è certo dei più invitanti: il palazzo del decapitato. Edificato a partire dal 1698 da Nicolò Maria Bondenti che vi si trasferisce nel 1704, a lavori ancora non completati. Un cantiere che prosegue con gli eredi fino al 1754 per poi arrestarsi, lasciando incompleta la facciata.

In stile rococò con alcune concessioni al rocaille (si veda il motivo della conchiglia ripetuto sui portali e sopra le finestre del piano nobile), l’edificio presenta eleganti modanature in cotto che decorano aperture, timpani e cornici marcapiano, mentre le finastre del piano nobile recano insolite cimase a pagoda rovesciata di sapore orientale.
Le statue che decorano la muraglia che unisce la due ali del fabbricato rappresentano figure allegoriche. Da sinistra la saggezza (donna con il libro), la floridezza (donna con cornucopia di fiori), la generosità (donna con bambino tra le braccia) mentre l’ultima sulla destra (figura femminile con pecora dall’abbondante vello) è un chiaro rimando all’attività dei Bondenti, che si arricchirono con il commercio dei pannilana. Sono opera degli scultori Francesco Mellone e Giovanni Battista Dominone (1716) e costituiscono una sorta di celebrazione dei fasti dell’illustre famiglia.
Il palazzo fu iniziato per volontà del conte Nicolò Maria Bondenti nel 1698 su progetto dell’architetto piacentino Giuseppe Cozzi, al quale subentrò in seguito Andrea Nono: i lavori si caratterizzarono per l’estrema lentezza esecutiva e furono sospesi nel 1737. Due anni prima veniva collocato lo splendido cancello in ferro battuto, firmato Giovan Battista Racchetti, che dall’androne d’ingresso dà adito al giardino.
L’eleganza e la grandiosità del palazzo, al cui interno si espressero artisti del calibro di Martino Cignaroli e Giovanni Galliari, ben rappresentava la ricchezza e il prestigio sociale deiproprietari, nobilitati ne 1652 per l’ammissione del Bondenti nel General Consiglio. Nel 1682 Nicolò ottenne inoltre dalla Repubblica Veneta l’investitura del piccolo feudo di Meduna, di cui resta memoria anche nello stemma murato nel cortile interno (in a destra, una grande lettera M sormontata dalla corona a nove punte).
Il palazzo passò in linea ereditaria ai conti Porta Puglia e in seguito ai Terni de Gregory, cui Vittorio Emanuele III concesse il titolo nobiliare nel 1920.
Luigi Porta Puglia Bondenti vi ospitò Vittorio Emanuele II nel 1859. Altro visitatore illustre fu Umberto di Savoia, cui Luigi Terni de Gregory offrì ospitalità nel 1924.

Secondo la tradizione locale sembra che, durante la sua edificazione, un giovane rampollo della nobile famiglia Terni-Bondenti, avventuratosi imprudentemente nell’ala in costruzione, abbia messo un piede in fallo e sia precipitato al suolo morendo sul colpo.

Ciò convinse il padre Niccolò Bondenti, pazzo per il dolore, ad interrompere per sempre i lavori in corso, lasciando così palesemente incompiuta un’intera ala del palazzo. E ciò spiegherebbe il perchè, in effetti, una parte dell’edificio sia incompleta e da sempre visibilmente in rovina. Ma forse le cose non sono andate esattamente così e la spiegazione per quei muri corrosi dalle intemperie e per quei finestroni vuoti, che si schiudono ai capricci del tempo, è molto più semplice e, in un certo qual modo, “prosaica”: può darsi infatti che l’architetto piacentino Giuseppe Cozzi, in accordo col committente, volesse edificare qualcosa di particolarmente originale e a suo modo “bizzarro” e avesse volutamente messo in atto questa trovata, ispirandosi del resto a ciò che aveva fatto il Bernini per Palazzo Barberini in Roma.
Certo è che l’effetto che ogni volta il Palazzo Terni di Crema (con tutta la sua pregevolezza e magnificenza) trasmette a chi lo osserva, mantiene quel “nonsoché” di malinconico e di lugubre che, da sempre, ne ha contraddistinto il destino e che, certamente, la particolare iconostasi del giardino, con quei grandi oculi vuoti prospicienti alla strada e le statue nivee che svettano verso il cielo, contribuisce a rafforzare.
Logico, quindi, che attorno a questo luogo siano nate leggende e dicerie che col passare del tempo si sono andate consolidando e trasformando in vera e propria credenza popolare, fino a spingersi ad ardite supposizioni, come quella sulla natura alchemica di alcune bizzarre soluzioni architettoniche.

Sta di fatto che, comunque, alberga tra quelle mura qualcosa di strano e di soprannaturale e in tal senso ci sono numerose testimonianze. Oltre a tutto il classico repertorio spiritico -strani rumori, gemiti ed urla, sagome e luci misteriose alle finestre-, c’è da segnalare, infatti, l’apparizione spaventosa e ricorrente dello spettro di un uomo senza testa (o meglio con la testa sottobraccio...) che cammina sugli spalti dell’ala incompiuta e si affaccia dalle occhiaie dei finestroni vuoti, terrorizzando i rari passanti notturni.
Il fantasma del “decapitato” è segnalato ormai da secoli ed è entrato di fatto nella tradizione locale cremasca, anche se nessuno riesce a capire se si possa o meno collegare al tragico incidente occorso al figlio del nobile Niccolò Bondenti (va ricordato che secondo altre versioni, il giovane non cadde accidentalmente ma si sarebbe suicidato...) e ciò non spiega comunque il perché di un’apparizione con la testa mozzata.

Dato che la ricorrenza più probabile per poter vedere lo spettro coincide con la mezzanotte di una sera di plenilunio (meglio se nel pieno di una tempesta o di un forte temporale), non è neppure facile osservare se “l’uomo senza testa” indossi abiti settecenteschi o magari più antichi, dettaglio che ci aiuterebbe a capire se l’apparizione sia riconducibile a qualche dimenticato fatto di sangue, magari antecedente all’edificazione del palazzo stesso.



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