venerdì 10 luglio 2015

I BRAVI



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Erano gli sgherri che nel XVII secolo si mettevano al servizio di qualche signorotto locale, di cui formavano una soldataglia pronta a fargli da guardia del corpo ma anche ad aiutarlo nei suoi soprusi ai danni dei più deboli: il nome deriva dal lat. pravus (malvagio), di cui resta traccia in espressioni quali "compiere una bravata", trascorrere una "notte brava" e simili. Compaiono per la prima volta nel cap. I, nella persona dei due figuri che, su incarico di don Rodrigo, minacciano don Abbondio perché non celebri il matrimonio tra Renzo e Lucia: l'autore li descrive con un abbigliamento particolare che li rende immediatamente riconoscibili, dal momento che portano i capelli raccolti in una reticella verde intorno al capo, hanno lunghi baffi arricciati e un ciuffo che ricade sul volto, sono armati di pistole e di spade. Manzoni cita varie gride dell'epoca in cui i governatori dello Stato di Milano intimavano ai bravi di cessare dalle loro scorrerie, tuttavia queste leggi restavano inapplicate poiché tali individui godevano dell'appoggio di signori potenti, che a loro volta contavano sull'inefficienza della giustizia e sulla connivenza dei pubblici funzionari, per cui i bravi agivano nella totale impunità. Nel cap. III l'autore spiega inoltre che i bravi portavano il ciuffo come segno di riconoscimento e anche per coprire il volto durante le azioni delittuose, ragion per cui varie gride minacciavano pene severe a chi avesse portato i capelli in quella maniera, nonché ai barbieri che li avessero tagliati così ai loro clienti (Renzo dice all'Azzecca-garbugli di non aver mai portato il ciuffo in vita sua, cioè di non essere mai stato un bravo).
I bravi nel romanzo sono anzitutto gli sgherri al servizio di don Rodrigo, capeggiati dal Griso: due di loro minacciano don Abbondio all'inizio, altri accolgono padre Cristoforo quando si reca al palazzo del loro padrone (V), altri ancora sono in paese la notte del "matrimonio a sorpresa" (VII) e poi partecipano al tentato rapimento di Lucia (VIII). Il mattino seguente alla "notte degli imbrogli" due bravi sono mandati dal Griso a minacciare il console del paese e l'autore lascia intendere che potrebbero essere gli stessi che, giorni prima, hanno intimidito don Abbondio.

Al Griso si attaglia alla perfezione il nomignolo, perché mette in evidenza tutto il grigiore di un'esistenza torbida di soprusi e violenze, commessi con la spavalderia di chi sa di essere spalleggiato e al sicuro da ogni interferenza della giustizia umana. Il Griso è il simbolo dell'animo abietto, pronto a tradire; la sua vigliaccheria spregevole si manifesta appieno, allorché consegna il padrone colpito dalla peste, ai monatti. Dalla grigia e graveolente palude, in cui sta bene attuffata la viltà perversa del Griso, come sorpresi da una forza irresistibile siamo vertiginosamente portati in alto dal Nibbio, masnadiero sì, ma il cui animo, un miscuglio mostruoso di sentimenti e di istinti, è capace di ricorrere alle maniere più dolci, perché Lucia, l'infelice vittima, si metta tranquilla nella carrozza, che la conduce al castello. Il nomignolo del capo dei bravi dell'Innominato ben risponde all'immagine dell'uccello rapace, e molto a proposito il nibbio è posto accanto all'aquila, alla quale il Manzoni paragona il selvaggio signore: i due rapaci sanno elevarsi a volo a fendere il cielo con gli occhi fissi nel sole, anche se poi improvvisamente precipitano sulla preda per insanguinarsi il rostro e gli artigli. Che il Nibbio no sia tetragono ai sentimenti umani, ce lo prova la compassione che egli confessa di aver avuto per Lucia, quella compassione che se uno la lascia prender possesso, non è più uomo. E la compassione di quel bestione del Nibbio diviene suggestiva per l'Innominato che vi ripensa e, ripensandovi, ripete le parole di quello: uno non è più uomo!

Il Biondino compare solo nel capitolo XXXIII. Ecco la frase celeberrima:
« Biondino! Carlotto! aiuto! son assassinato!" grida don Rodrigo; caccia una mano sotto il capezzale, .... »
(Cap. XXXIII)
Il Carlotto  viene citato nel capitolo XXXIII senza avere una descrizione fisica. In questo capitolo Manzoni fa 'entrare in scena' Carlotto:
« Carlotto! aiuto! son assassinato!" grida don Rodrigo; caccia una mano sotto il ... »
(Capitolo XXXIII)
Il Grignapoco, al servizio di Don Rodrigo, proviene dal contado di Bergamo, dove nel locale dialetto il verbo ridere si dice grignà, quindi il bravo è uno che ride poco. Per ingannare Agnese e sviare le indagini, era stato impartito al Grignapoco di parlare in dialetto durante il rapimento di Lucia Mondella affinché le ricerche si svolgessero a Bergamo.
Il Montanarolo viene citato da Manzoni in una riga del Capitolo XX senza aver una descrizione fisica:
« Si levò lo schioppo, e lo consegnò al Montanarolo, come per isgravarsi d'un peso inutile... »
(Capitolo XX)
Lo Sfregiato è uno dei migliori bravi al servizio di Don Rodrigo e viene citato da Manzoni nell'XI capitolo senza una descrizione fisica.
« Piglia con te un paio de' meglio lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va di buon animo, e sii il Griso. Che diavolo! »
(Capitolo XI)
Lo Squinternotto l' Alessandro Manzoni non lo descrive fisicamente, ma lo identifica semplicemente come "quarto dei bravi".
« Intanto i tre bravi sopraddetti, e lo Squinternotto ch'era il quarto (oh! vedete che bei nomi, da serbarceli con tanta cura), rimasero coi tre dell'innominato... »
(Cap. XX)]
Il Tanabuso è uno dei bravi di Don Rodrigo che lo accompagnano al castello dell'Innominato nel capitolo XX.
« Si cavò poi di tasca alcune berlinghe, e le diede al Tanabuso, dicendogli: «voi altri state ad aspettarmi; e intanto starete un po' allegri con questa brava gente». »
(Capitolo XX)
Il Tiradritto è uno dei migliori bravi al servizio di Don Rodrigo. Viene citato nei capitoli XI e XX, senza essere descritto fisicamente.
« Piglia con te un paio de' meglio... lo Sfregiato, e il Tiradritto; e va di buon animo, e sii il Griso. Che diavolo! »
(Capitolo XI)
« Don Rodrigo  smontò da cavallo, e buttò la briglia al Tiradritto, uno del suo seguito. »
(Capitolo XX)



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