La barriera corallina è una particolare struttura di rocce calcaree che forma una cintura lungo le coste continentali e insulari dei mari tropicali; si è formata nel corso dei millenni con l'aggregazione di milioni di gusci di protozoi (madrepore, coralli, a volte alghe calcaree), e in particolare di piccoli polipi, che misurano da 0,25 a 1,50 cm e secernono il proprio involucro esterno calcareo.
Il polipo ha il corpo a forma di sacco coronato in cima da un ciuffo di minuscoli tentacoli, mediante i quali cattura il cibo costituito dai microrganismi trasportati dall'acqua; quando esso muore il suo involucro serve di base per un nuovo organismo, cosicché la scogliera cresce su se stessa fino a raggiungere notevole spessore.
Nell'immaginario collettivo e non solo, le barriere coralline rappresentano un mondo sommerso variopinto e altamente ricco in biodiversità. Le caratteristiche uniche dell'habitat che si crea a ridosso dei reefs (altro modo, anglosassone, per riferirsi alle barriere) sono dovute alla presenza dei coralli stessi che offrono riparo e protezione a migliaia di specie di pesci, crostacei, molluschi ed echinodermi.
La parte superiore delle barriere coralline, termine oggi riservato esclusivamente a quelle di maggiori dimensioni e poste lontano dalla costa (Grande Barriera australiana, Belize, ecc), fino a 5 m di profondità, è un ambiente ad alto o altissimo irraggiamento solare. Pochi cm al di sotto della superficie dell’acqua si possono raggiungere i 100.000 Lux, un valore indicante la quantità di luce che una fonte luminosa di 1 Watt produce a distanza di 1 m su una superficie bianca di 1 m2. Ma già a 50 cm di profondità, la quantità di luce si dimezza, attestandosi intorno ai 50-70.000 Lux nella fascia dei 3-5 m.
La luce è il “carburante” della barriera, in quanto viene catturata dai pigmenti fotosintetici delle zooxantelle, le alghe (genere Symbiodinium) che vivono in strettissima simbiosi con i coralli, detti per questo zooxantellati, all’interno dei loro tessuti, stimolandone la crescita e favorendo la costruzione dei loro scheletri calcarei. A questa grande quantità di luce in natura si aggiunge un notevole idrodinamismo (movimento dell’acqua), percentuali bassissime di nutrienti in soluzione e una buona quantità di plancton.
In Australia, al largo delle coste del Queensland, si snoda la più grande barriera corallina del mondo: 2900 barriere collegate tra loro, 900 isole, 345mila chilometri quadrati, oltre 2200 km di lunghezza. Ospita circa 1500 specie di pesci.
Le barriere sono minacciate, direttamente o indirettamente, dall'attività umana. Pesca a strascico e ancore possono danneggiarle significativamente, mentre l'uso indiscriminato (fortunatamente bandito anni fa) del veleno per stordire i pesci e il commercio in acquariofilia ha causato in alcune zone una morìa a macchia di leopardo dei polipi che si trovavano nella zona.
È recente l'allarme degli scienziati riguardo alle barriere coralline presenti nell'Oceano Indiano: qui più di ogni altra parte si registra un aumento delle temperature specialmente nelle aree interessate dal fenomeno di El Niño come le isole Seychelles, presso le quali si è osservata nel 1998, in concomitanza al fenomeno meteorologico, la perdita del 90% dei coralli.
Una previsione conservativa è quella di alcuni scienziati dell'Università Australiana del Queensland, che prevedono la morte della Grande Barriera Corallina entro 50 anni a causa dell'innalzamento delle temperature medie dell'acqua (previsti incrementi da 2 a 6 °C).
Per tutta la storia della Terra, poche migliaia di anni dopo il primo sviluppo di scheletri o gusci mineralizzati, e quindi solidi, da parte di organismi marini, si sono quasi sempre costituite delle biocostruzioni tipo barriere coralline oggi rinvenibili fossilizzate nei sedimenti che si depositavano negli antichi mari, sempre in condizioni di acque calde temperate, senza apporti di sedimenti terrigeni.
I periodi di massimo sviluppo di queste costruzioni sono stati nel Cambriano medio (513-501 Ma), Devoniano (416-359 Ma) e Carbonifero (359-299 Ma), principalmente ad opera dei tetracoralli che si estinsero alla fine del Permiano, Cretaceo superiore (100-65 Ma) e Neogene (23 Ma - attuale), ad opera degli Scleractinia.
Non tutte le barriere biocostruite nel passato sono state formate da coralli: nel Cambriano (542-513 Ma) furono prodotte da alghe calcaree e archaeocyatha (piccoli animali con forma conica, probabilmente affini ai poriferi) e alla fine del Cretaceo (100 - 65 mA), quando esistevano barriere formate da un gruppo di molluschi bivalvi chiamate rudiste, in cui una delle due valve costituiva la principale struttura conica e l'altra, molto più piccola fungeva, da opercolo.
Con il termine piattaforma carbonatica si intende, in sedimentologia e in biologia, un'area situata in ambiente marino o lacustre, caratterizzata da un rilievo topografico più o meno accentuato e da un'elevata produzione di materiale carbonatico autoctono di origine prevalentemente biogenica, derivato dall'accumulo di parti dure di organismi a scheletro calcareo oppure dalla precipitazione di carbonato indotta dall'attività di organismi viventi.
Il termine deriva dalla morfologia generalmente tabulare di questi corpi geologici e dal fatto che i sedimenti componenti sono carbonatici. Una piattaforma carbonatica è un complesso molto articolato, che comprende diversi ambienti.
I termini piattaforma carbonatica e Barriera corallina (reef) non sono sinonimi. Una barriera corallina è una scogliera bio-costruita e costituisce una parte della piattaforma carbonatica: tipicamente la sua fascia marginale esterna (più o meno estesa). Un esempio di piattaforma sviluppata lungo una costa continentale, in cui la parte di reef è molto estesa, è la Grande Barriera Corallina australiana.
D'altro canto, sono esistiti nella storia geologica complessi di piattaforma carbonatica privi di un vero e proprio reef (esempi molto studiati sono le piattaforme del Triassico, molto diffuse nelle Dolomiti e in tutte le Alpi meridionali). Anzi, i complessi di reef sono presenti in realtà solo in alcuni periodi della storia della terra.
Nel passato geologico sono conosciuti molteplici esempi di piattaforme carbonatiche composte totalmente o quasi da fango carbonatico (micrite). La genesi di queste bio-costruzioni è stata a lungo e accanitamente dibattuta dai geologi. Ora è largamente accettato dai ricercatori che siano di origine batterica. La micrite che compone queste piattaforme deriva da sedimento litificato durante o appena dopo la formazione piuttosto che dopo il seppellimento, per precipitazione indotta biologicamente dall'attività batterica. Questo tipo di facies non va confuso con le facies stromatolitiche, caratterizzate da alternanze di lamine di origine algale, anche se le due facies possono coesistere nella stessa piattaforma. Le facies di piattaforma micritica sono caratterizzate dall'assenza di strutture di origine sedimentaria o biologica (anche se vi possono essere strutture concentriche o laminari derivate dalla precipitazione abiotica di cementi carbonatici). Queste bio-costruzioni sono sostanzialmente diverse da quelle derivate da organismi gregari o coloniali. Le comunità biologiche che danno origine a queste piattaforme sembrano crescere in acque meno ossigenate e con un maggiore contenuto di nutrienti rispetto agli altri tipi di piattaforma. Piattaforme micritiche sono conosciute fin dal Paleozoico e frequenti fino a tutto il Mesozoico: sono comuni soprattutto nel Paleozoico Superiore (in particolare nel Carbonifero e nel Permiano) e in tutto il Triassico.
Le piattaforme carbonatiche del passato sono una delle fonti primarie delle rocce calcaree e dolomitiche, spesso cavate come pietra da costruzione, pietra ornamentale e per usi artistici, o come componente base per la fabbricazione del cemento. In Italia, si possono ricordare i marmi delle Alpi Apuane, tra cui il celebre Marmo di Carrara, cavati da secoli per usi edili e artistici e derivati dal metamorfismo di calcari di piattaforma carbonatica di età che vanno dal tardo Triassico al Giurassico Inferiore. I cristalli di calcite, dolomite e minerali accessori che si possono rinvenire in questi complessi, e i fossili tipici di questi ambienti hanno interesse per il mercato "di nicchia" dei minerali e dei fossili da collezione.
Le rocce carbonatiche sono anche fonti rilevanti di alluminio, estratto da depositi bauxitici.
Le rocce carbonatiche derivate da sedimenti di piattaforma costituiscono importanti rocce serbatoio per gli idrocarburi (petrolio e gas naturale), con il 40% circa delle riserve accertate.
Questa tipologia di sedimenti è caratterizzata da porosità e permeabilità elevate soprattutto nelle facies di reef, nelle facies di forereef prossimali (scarpata) e nelle facies di backreef a più alta energia. I sedimenti carbonatici sono però fortemente soggetti alla diagenesi, con fenomeni di dissoluzione e cementazione che ne alterano spesso le caratteristiche petrofisiche fin dalle prime fasi del seppellimento (vedi Sedimentazione e diagenesi). Questi processi possono in qualche caso migliorare le caratteristiche petrofisiche di questi serbatoi, incrementando sia la porosità che la permeabilità, quando prevale la dissoluzione (ad esempio nel caso dei carbonati soggetti a carsismo). Tuttavia, con l'aumento della profondità di seppellimento e il progredire della diagenesi tendono a prevalere i processi di cementazione, in seguito ai quali le rocce carbonatiche possono perdere in gran parte (o in tutto) le caratteristiche petrofisiche più favorevoli, divenendo serbatoi di difficile producibilità. Le facies di laguna e piana di marea, come del resto quelle di forereef più esterno, in cui prevalgono i sedimenti fini a bassa permeabilità, sono generalmente mediocri o cattivi serbatoi. La presenza di una fratturazione naturale di origine tettonica può però rendere producibile una formazione rocciosa che di per sé avrebbe caratteristiche di prorosità e permeabilità primaria scadenti.
Le facies di laguna a sedimentazione carbonatica, spesso caratterizzate da sedimenti euxinici in cui la materia organica viene preservata dall'assenza di ossigeno nello strato d'acqua prossimo al fondale, possono essere ottime rocce madri degli idrocarburi.
I sedimenti di backreef, caratterizzati da tessitura fine (micriti) e spesso associati nella porzione supratidale ad evaporiti come sale, gesso e (come sedimento diagenizzato) anidrite, costituiscono spesso le rocce di copertura dei giacimenti di idrocarburi localizzati in rocce di piattaforma carbonatica. Tra i giacimenti di questo tipo, in circa il 60% dei casi le rocce di copertura sono evaporiti deposte in contesti di piana di marea supratidale. Questo si verifica per la migrazione laterale degli ambienti nel corso del tempo (progradazione e retrogradazione), dovuta a variazioni del livello del mare, che può portare facies di backreef impermeabili al di sopra di facies porose e permeabili di reef o forereef.
Un esempio molto citato in Italia di giacimento di idrocarburi a olio e gas in carbonati di piattaforma di età triassica è quello di Trecate, tra le provincie di Milano e Novara. Le rocce serbatoio sono in questo caso antichi sedimenti di piattaforma carbonatica dolomitizzati, di età medio-triassica (Anisico-Ladinico) e tardo-triassica (Norico-Retico). In questo caso, la trappola che costituisce il giacimento è di tipo essenzialmente strutturale, ed è costituita da un paleo-alto di età giurassica inferiore, determinatosi in seguito ad una fase tettonica distensiva dovuta all'apertura del paleo-oceano della Tetide. Questo alto strutturale è stato successivamente ricoperto e sigillato da rocce di copertura di età cretacica e terziaria, e poi in parte deformato dall'orogenesi alpina dal Miocene. La roccia madre di questo giacimento è costituita da sedimenti argilloso-marnosi di tipo euxinico depositatisi entro bacini situati tra le piattaforme carbonatiche del Triassico medio. Questi sedimenti bacinali sono presenti entro la struttura di Trecate a contatto con le rocce serbatoio dolomitiche coeve per transizione laterale di facies: gli idrocarburi formatisi entro queste rocce madri hanno quindi potuto migrare direttamente entro le rocce serbatoio.
Un altro esempio italiano di giacimento petrolifero in carbonati di piattaforma è quello di Monte Alpi, in Val d'Agri (Basilicata), in rocce calcaree di età giurassica e cretacea coinvolte in falde tettoniche messe in posto nel Pliocene inferiore. Queste rocce, a bassa porosità primaria, producono prevalentemente da un reticolo di faglie e fratture naturali.
Il dominio Sudalpino, o Alpi Meridionali, si estende con un’ampia fascia ad andamento E-W delimitata a N dalla Linea Jorio - Tonale e a S dai depositi alluvionali della Pianura Padana.
Nelle sue estese e potenti coperture sedimentarie ospita le più importanti aree carsiche della regione, con ben sviluppati fenomeni di carsismo sia superficiale che ipogeo, costituendo senz’altro la provincia lombarda maggiormente e più profondamente interessata da manifestazioni carsiche, che ne fanno un’area di grande interesse speleologico anche a livello italiano.
E’ costituito da un basamento metamorfico ercinico coperto verso S da un’estesa e potente copertura sedimentaria, prevalentemente marina carbonatica, pressoché continua a partire dal Carbonifero fino al Cretaceo-Eocene. La copertura sedimentaria è separata dal basamento da un altro importante lineamento E-W, la Linea Orobica (che nell’area lariana prende il nome di Linea della Grona) ed è deformata da sovrascorrimenti verso S e da sistemi di grandi pieghe regionali di età alpina; il margine meridionale è interessato da retroscorrimenti (di età neo-alpina: Oligocene sup. - Miocene inf.) verso N della Gonfolite (Molassa Sudalpina) (Rupeliano - Burdigaliano) sulle formazioni cretaciche della Scaglia: a ciò fa seguito (o è contemporaneo) il sollevamento tettonico dell’area, che porta all’emersione del margine S probabilmente a partire dal Miocene inf. Deformazioni tardive tra il Pliocene inf. e il Pleistocene inf. hanno portato a sollevamenti differenziali che nella piana di Chiasso (tra Como e Varese) vanno da 300-400 m a 700 m.
Nelle Prealpi si trovano le litologie a maggior carsificabilità, gli spessori (e quindi i potenziali carsici) maggiori (favoriti sia dalla paleogeografia dei bacini di sedimentazione, sia dalla struttura tettonica alpina a sovrascorrimenti) e gli assetti strutturali più favorevoli ad una importante carsificazione profonda (sistemi di grandi pieghe a scala chilometrica), unitamente a fattori paleoclimatici, morfologici e altimetrici altrettanto favorevoli: tutto ciò fa di questa zona una delle più importanti aree carsiche italiane, con sistemi di cavità di grande estensione e profondità.
Dopo una fase di erosione delle rocce metamorfiche dell’antica catena ercinica, a partire dal Carbonifero sup., con formazione di rocce terrigene di origine continentale (es.: Verrucano Lombardo), il progressivo avanzamento del mare da E verso W determina il passaggio da ambiente continentale, ad ambiente di transizione fino ad ambiente marino vero e proprio.
Le formazioni francamente carbonatiche si rinvengono a partire dal Trias medio (Anisico): inizialmente si tratta di formazioni a carsificabilità non molto elevata, trattandosi per lo più di calcari terrigeni, impuri, marnosi e dolomitici, con spessori localmente molto variabili, che testimoniano la grande variabilità dell’ambiente di deposizione (Calcare di Prezzo, Calcare di Angolo, Calcare di Camorelli, Dolomia dell’Albiga).
A partire dal Ladinico, su vaste aree della Lombardia centrale si estende la piattaforma carbonatica del Calcare di Esino (mare basso con barriere coralline), costituita da dolomie, calcari dolomitici e cristallini, per lo più massicci, di grande potenza (fino a 500 m), con i massimi spessori in corrispondenza del Gruppo delle Grigne e in Val Brembana.
Il Calcare di Esino costituisce una delle formazioni più carsificabili della Lombardia, con elevatissima carsificabilità sia superficiale che profonda. Il massiccio delle Grigne è l’area meglio conosciuta dal punto di vista speleologico ed è qui che si sviluppano le cavità più profonde della regione (Abisso W le Donne, - 1160 m), con una della maggiori densità di cavità carsiche a livello italiano (Circo di Moncodeno). Estesi sistemi di cavità in questa formazione si trovano anche in Bergamasca.
La piattaforma carbonatica dell’Esino fu sottoposta a diversi episodi di emersione, con formazione di morfologie carsiche superficiali e profonde, che attualmente costituiscono livelli paleocarsici intersecati, ed eventualmente sfruttati, da sistemi carsici più recenti.
In eteropia (cioè della stessa età, ma depositate in ambiente diverso), si trovano numerose formazioni a diffusione più ristretta e locale, a carsificabilità meno elevata (Formazione di Wengen, Formazione di Buchenstein, Dolomia di S. Salvatore, Calcare di Meride, Scisti bituminosi di Besano, Calcare di Perledo-Varenna).
La Formazione di Esino è poi seguita da altre formazioni carbonatiche a carsificabilità variabile e di spessore in genere non molto elevato, che possono comunque ospitare importanti sistemi e diffusi fenomeni carsici (Formazione di Cunardo, Calcare Metallifero Bergamasco, Formazione di Gorno e di Breno) (dove si aprono, per esempio, le cavità delle miniere di Dossena, Bg), che testimoniano il frazionarsi della piattaforma carbonatica in una serie di piccoli bacini.
Durante il Norico, gran parte del territorio lombardo viene nuovamente ricoperto dal progradare delle piattaforme carbonatiche, con la Formazione della Dolomia Principale, localmente in eteropia con la Dolomia del Campo dei Fiori.
La carsificabilità della Dolomia del Campo dei Fiori è molto elevata e la formazione ospita la parte più profonda dell’importante sistema carsico del Campo dei Fiori (più di 150 cavità, con una lunghezza complessiva di più di 25 km, per una profondità di 640 m). La carsificabilità della Dolomia Principale è invece estremamente variabile. Di norma è assai poco carsificabile, ma localmente può presentare carsificabilità molto elevata. La ragione di questa differenza risiede nell’intervento di acque di origine idrotermale (es. area della Tremezzina, Co).
Seguono poi il Calcare di Zorzino (Norico) a bassa carsificabilità, e il calcare di Zu (Retico), entrambi con forte componente argillosa. Quest’ultimo può presentare elevata carsificabilità: ospita infatti numerosi sistemi carsici ipogei di grande importanza (es: Grotta del Forgnone, in Valle Imagna).
Le successive formazioni della Dolomia a Conchodon (che, per inciso, non è una dolomia e non contiene Conchodon) e della Corna, mediamente o poco carsificabili, fanno da base ai calcari selciferi giurassici (Calcare di Moltrasio), che si estendono su quasi tutta la Lombardia, in prevalenza nel settore centrale, raggiungendo localmente spessori notevoli (fino a 3000 n, grazie anche all’intervento di strutture di ricoprimento). Testimoniano la frammentazione del territorio lombardo in bacini di mare profondo separati da soglie, o alti strutturali, a sedimentazione più ridotta, legati all’apertura dell’oceano ligure-piemontese.
Mostrano carsificabilità molto elevata e sono sede di alcuni dei più estesi e profondi sistemi carsici (Campo dei Fiori, Pian del Tivano e tutte le cavità dell’area lariana occidentale).
Seguono formazioni poco o nulla carsificabili (come il Rosso Ammonitico) e, infine, la Maiolica (Malm), altamente carsificabile (ospita il sistema del Buco del Piombo-Stretta-Lino, Co), che costituisce l’ultima unità carsificabile della copertura sedimentaria delle Alpi Meridonali, poiché da qui in poi vi sono rappresentate unicamente unità terrigene.
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