venerdì 10 luglio 2015

I MAMMUT



Resti di mammut sono stati rinvenuti in Europa, Africa, Asia e Nordamerica. Si pensa che questi animali si fossero sviluppati in Africa del Nord circa 4,8 milioni di anni fa, nel Pliocene; i resti della specie primitiva Mammuthus africanavus sono stati rinvenuti in Ciad, Libia, Marocco e Tunisia. Mammuthus subplanifrons, del Sudafrica e del Kenya, è anch'esso considerato una delle specie più antiche e primitive (età: circa 4 milioni di anni). Nonostante la loro origine africana, i mammut sono più strettamente imparentati con gli odierni elefanti asiatici che con le due specie di elefanti africani. L'antenato comune di mammut ed elefanti asiatici si separò dalla linea degli elefanti africani tra i 7 e i 6 milioni di anni fa. Gli elefanti asiatici e i mammut si differenziarono in seguito, circa mezzo milione di anni dopo.

I mammut africani, in poco tempo, migrarono a nord verso l'Europa e diedero origine a una nuova specie, il mammut meridionale (Mammuthus meridionalis), che si diffuse attraverso l'Europa e l'Asia e attraversò il ponte di Bering, ora sommerso, fino ad arrivare in Nordamerica. Circa 700.000 anni fa, il clima peggiorò sensibilmente e le pianure e le savane di Europa, Asia e Nordamerica divennero steppe freddissime e decisamente meno fertili. Il mammut meridionale, di conseguenza, scomparve, sostituito in gran parte del suo areale dal mammut delle steppe (Mammuthus trogontherii). Questa specie, poi, diede origine al mammut lanoso, Mammuthus primigenius, circa 300.000 anni fa. I mammut lanosi erano eccezionalmente adatti a fronteggiare il freddo estremo dell'Era glaciale.

Questa specie di mammut ebbe un successo davvero notevole: visse dalla Spagna fino al Nordamerica, e si pensa sia esistita in grandi quantità di individui. Il ricercatore russo Sergei Zimov ha stimato che durante l'ultima Era Glaciale, parti della Siberia potrebbero aver avuto una densità media di popolazione di sessanta animali per cento chilometri quadrati - l'equivalente degli elefanti africani al giorno d'oggi. In Nordamerica, invece, si svilupparono due specie di mammut, Mammuthus jeffersonii e Mammuthus columbi.

La sopravvivenza dei mammut nani (Mammuthus primigenius vrangeliensis) nell'isola di Wrangel in Russia è dovuta al fatto che l'isola era molto remota, e completamente disabitata fino all'Olocene inoltrato. L'isola non fu scoperta dalla civiltà odierna fino al 1820, da una nave baleniera americana. I mammut di Wrangel non erano però di piccolissima taglia, con un'altezza al garrese di circa 2-2,5 metri, paragonabile a quella di alcune varietà di elefanti asiatici, e infatti non sono considerati una specie a sé stante del genere Mammuthus, ma una semplice variazione geografica del mammut lanoso. Un molto più marcato nanismo insulare è stato riconosciuto nei mammut delle isole Channel della California (Mammuthus exilis), che sono considerate una specie distinta ed originatesi in un periodo precedente. Là, gli animali sono stati probabilmente sterminati quando i nativi americani iniziarono a navigare fino alle isole Channel, che sono prospicienti alla costa, e/o dalla perdita dell'habitat. Un'altra specie nana (Mammuthus lamarmorae) è vissuta in Sardegna e presumibilmente in Corsica (le due isole erano all'epoca collegate), estinguendosi circa 500.000 anni fa, grossomodo in concomitanza con le più antiche tracce di occupazione umana in Sardegna e Corsica.

Come gli odierni elefanti, i loro parenti più vicini, anche i mammut potevano raggiungere dimensioni ragguardevoli. La specie più grande conosciuta, il Mammuthus sungari che viveva tra la Cina e la Mongolia, raggiungeva l'altezza di 5 metri al garrese. Probabilmente i mammut pesavano circa 6 - 8 tonnellate, ma eccezionalmente i grandi maschi potrebbero aver superato le 12 tonnellate. La maggior parte delle specie, in ogni caso, erano grandi solo quanto un elefante asiatico attuale, e si conoscono fossili di forme nane.

I mammut possedevano alcuni adattamenti per resistere al freddo, il più noto dei quali è lo spesso strato di pelo, lungo fino a 50 centimetri, per il quale è stata data anche la denominazione di "mammut lanoso". Questi animali, inoltre, avevano orecchie più piccole rispetto a quelle degli elefanti attuali; il più grande orecchio di mammut mai trovato era lungo solo 30 centimetri, una minuzia in confronto al metro e ottanta di un grosso elefante africano. I mammut possedevano anche una membrana di pelle ricoperta di pelo che copriva l'ano, proteggendolo dal freddo.

Anche i denti di questi proboscidati erano adattati per la dieta di erbe di tundra, con più placche e corone più alte dei loro parenti meridionali. La loro pelle non era più spessa di quella degli odierni elefanti, ma a differenza di questi ultimi possedevano numerose ghiandole sebacee nella loro pelle, che secernevano grasso oleoso all'interno della loro pelliccia, migliorando le sue qualità di isolante. I mammut avevano uno strato di grasso spesso fino a otto centimetri sotto la pelle, simile a quello delle balene, che aiutava a tenere il loro corpo al caldo.

Infine, i mammut possedevano zanne estremamente allungate (fino a 5 metri), molto ritorte in alcune specie, la cui taglia era ben maggiore di quelle degli elefanti attuali. Non è chiaro se le zanne fossero un adattamento specifico al loro ambiente, ma è stato suggerito che i mammut potrebbero aver usato le loro zanne per rimuovere la neve dal terreno e raggiungere la vegetazione sottostante.

Dal 1999, alcuni scienziati russi e giapponesi lavorano ad un ambizioso progetto che ha come scopo la clonazione del mammut, in particolare l'equipe guidata dal professor Akira Intani, della School of Biology-Oriented Science and Technology della Kinki University di Osaka, spera di riuscire a clonare il mammut lanoso prelevando del DNA intatto dagli esemplari rinvenuti congelati nel permafrost nel corso degli ultimi anni.

Per riuscire nel loro intento, gli scienziati devono tuttavia risolvere delle difficilissime problematiche, prima di tutto è necessario disporre di tessuti muscolari o sperma di questi animali in buono stato di conservazione, solo in questo modo si può sperare di estrarre delle cellule intatte. Perciò, questo è possibile esclusivamente su mammut che una volta morti sono rimasti ricoperti e congelati immediatamente, senza poi aver subito processi di scongelamento nel corso dei millenni. I tentativi svolti finora sui tessuti muscolari di alcuni esemplari di mammut ritrovati nel permafrost in Siberia, come la cucciola di mammut di pochi mesi di vita soprannominata Ljuba (amore in russo) scoperta nel 2007, non hanno dato i risultati sperati, le cellule risultano troppo danneggiate per cui il DNA non è completo, gli scienziati hanno estratto circa il 70/80 % del DNA di mammut. L'eventuale estrazione di una cellula sana permetterebbe il suo inserimento nell'ovocita di elefante indiano, la specie vivente più simile al mammut, dal quale si svilupperebbe poi un embrione che, posto nell'utero di una elefantessa attraverso un'inseminazione artificiale, porterebbe alla nascita, salvo complicazioni e dopo una gestazione di 22 mesi, di un piccolo mammut.

Tuttavia, l'individuo generato sarebbe comunque geneticamente un ibrido fra due specie, poiché, nonostante la differenza genetica fra mammut ed elefante indiano sia solo del 5%, l'animale clonato con questa tecnica avrebbe un patrimonio genetico costituito dal DNA nucleare degli antichi Mammut, e il DNA mitocondriale dell'elefante indiano. Questo tuttavia non comporterà alcuna differenza fenotipica con i Mammut antichi, in quanto il DNA mitocondriale codifica esclusivamente per geni coinvolti nel metabolismo.

Alcuni scienziati si spingono persino ad individuare l'habitat ideale per "mammut rinati" ipotizzando zone della Siberia e del Canada i luoghi con il clima più adatto, creando parchi tematici o rendendoli attrazioni da zoo.

La ricerca, condotta dal Museo di storia Naturale di Stoccolma e pubblicata su Proceedings of the Royal Society B, dimostra infatti definitivamente, attraverso l’analisi del Dna, che a uccidere i mammut fu la fine della glaciazione e il riscaldamento globale e non i nostri antenati, anche se come fanno notare molti esperti la deglaciazione comportò a sua volta ondate di popolazioni migratorie dedite alla caccia e dunque le due cause con ogni probabilità si intrecciarono.
In realtà è dal 1806, epoca in cui furono ritrovati in Russia i primi resti fossilizzati di mammut, che si discute sulla reale causa di estinzione di questi cugini dei moderni elefanti che centinaia di migliaia di anni fa popolarono le steppe ghiacciate ed è ormai quasi assodato che le condizioni climatiche giocarono il ruolo cruciale. I mammut si sono estinti a causa della trasformazione del loro habitat, che riscaldandosi ha modificato gradatamente la flora. Ma la vera novità di questo studio, alle cui conclusioni erano già approdati gran parte degli scienziati, sta nel fatto che i mammut avrebbero iniziato un primo processo di estinzione già a partire da 120 mila anni fa (nel periodo interglaciale Eemiano, tra le glaciazioni che nelle Alpi prendono il nome di Riss e Würm).
L’analisi genetica condotta dal gruppo di ricerca del Museo di storia naturale di Stoccolma mostra come già nel Pleistocene superiore i grandi erbivori avessero iniziato a decimarsi e che addirittura 120 mila anni fa la popolazione di mammut avesse dato i primissimi segni di contrazione. La prima grande moria risale dunque a quando si verificò un periodo interglaciale (Eemiano) che generò temperature definite dagli esperti «più o meno come quelle attuali». In quell’occasione la popolazione di mammut passò probabilmente da alcuni milioni ad alcune decine di migliaia di esemplari. Con la ripresa dell’espansione dei ghiacci sulle terre emerse i mammut tornarono a prosperare. Ma quando anche l’ultima glaciazione (Würm) terminò circa 20 mila anni fa, i mammut scomparvero di scena. Non tutti però, alcuni (forse una sottospecie) restarono isolati nell’ultima nicchia ecologica a loro congeniale: nelle remote lande e nelle isole a nord della Siberia.

I ricercatori hanno sequenziato il Dna di 300 campioni fossili di mammut lanoso scoperti in Eurasia e in America del Nord e risalenti a differenti epoche e hanno messo poi in relazione la documentazione fossile e genetica con la simulazione del clima delle varie regioni abitate dai mammut durante i vari intervalli di tempo.

Attualmente intorno al climate change e ai mammut sono stati fatti notevoli passi in avanti. Recentemente per esempio è stata trovata in un’isola dell’arcipelago Ljachov, nel mar di Laptev, la carcassa di un mammut dalla quale è stato possibile estrarre una discreta quantità di sangue. È avvenuto in una remota isola a nord della Siberia aprendo nuovi spiragli per riportare in vita i mammut tramite clonazione.




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