venerdì 10 luglio 2015

IL LAUROSARIO



La leggenda del mostro del Lario nacque nell’immediato Dopoguerra, quando nel 1946 il «Corriere Comasco» scrisse di un misterioso ed enorme animale apparso nelle acque del Pian di Spagna.

Il 18 novembre 1946, due cacciatori dalle parti di Colico, sulla riva settentrionale del Lago di Como, sostengono di aver incontrato una creatura lunga tra i dieci e i dodici metri con squame rossastre e molto rigide a pochi passi dalla riva. I due cacciatori hanno immediatamente imbracciato i fucili e hanno sparato in direzione della "cosa", che si è rapidamente diretta verso il centro del lago, sparendo con un sibilo acuto. Questo strano animale venne chiamato Lariosauro, lo stesso nome usato un secolo prima per definire un rettile preistorico (Lariosaurus balsami) i cui resti fossili vennero trovati nei pressi del lago nel 1830. I fossili di questa e di altre specie ritrovati successivamente sono attualmente esposti nei musei di Lecco e di Monaco di Baviera.

Altri avvistamenti simili non lontani da questa zona diedero vita al leggendario Lariosauro, che fece la sua comparsa regolarmente negli anni a seguire: nel 1954 una coppia, padre e figlio, vide qualcosa con il muso arrotondato e i piedi palmati che nuotava in acqua. Era lungo appena 80 centimetri (forse una rara lontra). Tre anni dopo una batisfera, che si immerse alla profondità di 90 metri al largo della costa di Dervio, si imbatté in un animale con la testa simile a quella di un coccodrillo e lungo circa due metri.

L'ultimo avvistamento avvenne nel 2003: un'anguilla gigante, di circa 10-12 metri di lunghezza, comparve nei pressi di Lecco. Lo scettico ricercatore Giorgio Castiglioni, che studiò questi casi, pensa che in realtà si fosse trattato di un gruppo di pesci che nuotava compatto.

La tradizione popolare, un pizzico di verità e qualche goccia di fantasia sono gli ingredienti perfetti per una leggenda.



In media gli esemplari adulti di Lariosaurus avevano una lunghezza compresa tra 60 centimetri e 1,30 metri; ciò li rende tra i più piccoli notosauri conosciuti. Il collo di Lariosaurus era relativamente corto se rapportato a quello di altri notosauri, e anche le zampe erano piuttosto piccole. Una caratteristica di Lariosaurus era data dalle zampe anteriori, in cui l'omero era arcuato e molto massiccio, mentre l'ulna era allargata e piatta; tra le ossa dell'avambraccio, inoltre, è generalmente presente un largo spazio. Si suppone che le zampe anteriori si fossero trasformate in strutture simili a pinne, mentre quelle posteriori avessero conservato l'originale struttura con cinque dita (forse palmate).

Il cranio era appiattito come quello di tutti i notosauri, anche se non in misura estrema come in Nothosaurus; lunghi denti anteriori si intersecavano fra loro quando le fauci erano chiuse, mentre i denti della parte posteriore di mascella e mandibola erano più piccoli. Le costole presentano alcune parti ispessite, così come alcune vertebre e la clavicola. Le costole ventrali (gastralia) sono strettamente compresse fra loro e formavano una sorta di armatura protettiva.

Il primo esemplare noto di Lariosaurus venne alla luce nel 1830 a Perledo, una località presso il lago di Como, conosciuto anche con il nome di Lario. I reperti vennero studiati e descritti da Giuseppe Balsamo Crivelli sulla rivista Il Politecnico di Milano nel 1839. Balsamo Crivelli, in attesa che fosse confermato che si trattava di un animale mai descritto in precedenza, preferì non attribuirgli un nome. Solo nel 1847, appurato che si trattava di una nuova specie (e di un nuovo genere), Giulio Curioni gli attribuì il nome di Lariosaurus balsami.

Un altro fossile ritrovato appartenente alla stessa specie venne impropriamente chiamato Macromirosaurus plinii. L'esemplare meglio conservato è esposto nel museo botanico di Monaco di Baviera. Altri esemplari sono conservati al servizio geologico di Roma e due sono esposti al Museo di Storia Naturale di Lecco. L'individuo più lungo misura 130 cm.

Lariosaurus era un predatore acquatico che si muoveva nuotando grazie alle "pinne" anteriori potenti, e aiutandosi con la lunga coda. Il cranio, con i lunghi denti anteriori, è conformato per intrappolare piccoli pesci e altre prede scivolose come i cefalopodi, ma alcuni resti fossili di Lariosaurus contengono al loro interno anche piccoli esemplari di rettili placodonti del genere Cyamodus (Tschanz, 1989) e pachipleurosauri. La scoperta di probabili embrioni forse appartenenti a Lariosaurus (Renesto et al., 2003) potrebbe indicare l'ovoviviparità di questi animali, e quindi uno stile di vita completamente acquatico.



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