La Rotonda di San Tomè è un edificio ecclesiale a pianta circolare in stile romanico-bergamasco risalente alla prima metà del XII secolo, dedicato a san Tommaso.
Il territorio su cui sorge la rotonda faceva parte di un ben più ampio comprensorio abitato già in epoca precristiana dai Galli Cenomani, tradizionali alleati di Roma di cui acquisirono la cittadinanza nel 49 a.C., denominato Lemine.
I romani lasciarono tracce notevoli della loro presenza in questo territorio importantissimo sotto l'aspetto strategico, percorso dalla strada militare che collegava Bergamo a Como, parte terminale di quella che univa il Friuli alle regioni retiche.
Questa strada scavalcava il fiume Brembo, proprio nelle vicinanze dell'area di San Tomè, con un ponte imponente i cui resti ne lasciano immaginare la grandezza. Del ponte crollato a più riprese nel corso dei secoli non sono rimaste che scarse tracce e una memoria popolare che lo ha attribuito ai Longobardi, tanto da essere comunemente conosciuto come il Ponte della Regina, in questo caso Teodolinda.
È comune fra la gente del posto che quasi tutto quanto sappia di antico venga attribuito all'epoca longobarda e molto spesso alla loro regina più famosa. Questo accade anche per il Priorato di Sant'Egidio, per la Basilica di Santa Giulia e per altri monumenti di epoca più tarda.
Della presenza romana sono rimasti molti altri reperti archeologici il più significativo dei quali è un'ara dedicata al dio Silvano ritrovata nel territorio almennese. Altri reperti, alcuni di fattura pregiatissima come una Venere mutila, un torso d'uomo, una testa efebica, numerosissime steli funerarie e are votive testimoniano la presenza nella bergamasca di una comunità romana numerosa, strutturata e non soltanto militare.
Lemine, un comprensorio territoriale scarsamente abitato nel medioevo che si sviluppò sulla sponda occidentale del Brembo, comprendeva la Val Brembana fino al confine con la Val Taleggio, la Valle Imagna, quindi si incuneava a sud nella cosiddetta Isola bergamasca, tra l'Adda e il Brembo, fino all'attuale territorio di Brembate.
Le comunità che via via si erano succedute dopo quella romana, eredi di questa ma anche di quelle che inevitabilmente erano state attratte e avevano ruotato attorno ad essa, erano state duramente colpite da eventi bellici e da pestilenze. Le genti sopravvissute, piuttosto sparpagliate sul vasto territorio di Lemine privo di centri abitativi definiti, costituirono delle vicinie dalle quali sono quasi sempre derivati gli attuali centri urbani.
Con la conquista longobarda Lemine divenne una corte regia molto importante sia per avere ospitato alcuni re longobardi sia per essere stata, nella prima fase del consolidamento del potere longobardo, un crocevia militare di notevole valenza politica.
L'atto di Astolfo certifica anche l'esistenza della corte regia, mentre il toponimo Lemine sarà sempre più documentato nelle diverse varianti che porteranno poi a quelle di Almenno, Almé e così via.
Dopo la caduta del regno longobardo il comprensorio di Lemine passò ai nuovi dominatori franchi, prima come possesso imperiale fino all'892 poi come feudo dei conti di Lecco, l'ultimo dei quali Attone lo lasciò dopo la sua morte, 975, all'episcopato di Bergamo; le modalità di quest'ultimo passaggio non sono chiare.
San Tomè seguì, subendole, le vicissitudini storiche che portarono alla nascita del comune di Lemine avvenuta il 3 marzo 1220 quando il vescovo Giovanni Tornielli rinunciò ai diritti di vassallaggio e a ogni interferenza nell’elezione degli organi comunali, riconoscendo così l'autonomia della comunità a cui cedette la propria giurisdizione.
Il XIII secolo fu il periodo di maggiore splendore della rotonda, che coagulò attorno a sé una grande affluenza di fedeli con benefici ritorni economici per le generose donazioni ricevute, mentre il XIV secolo segnò l'inizio della sua decadenza.
Le lotte fratricide tra guelfi e ghibellini che afflissero il comune di Lemine durante il Trecento e che portarono alla sua divisione nei comuni di Lemine Superiore e Lemine Inferiore colpirono anche San Tomè.
I contrasti fra le contrapposte fazioni comportarono la lenta diminuzione del numero dei fedeli di San Tomè fino ad arrivare alla loro quasi scomparsa dopo la distruzione di Lemine Inferiore dovuta al podestà di Bergamo, Gritti, 13 agosto 1443.
Solo il XX secolo avrebbe fatto riscoprire e rinascere la rotonda come importante opera d'arte dell'architettura romanica bergamasca, frutto di quella devozione popolare che produsse altri capolavori romanici come la Chiesa di San Giorgio in Lemine, solo per citare il più emblematico.
Non c'è certezza storica sulla datazione dell'attuale Rotonda di San Tomè.
Alcuni studiosi hanno ritenuto che la chiesa poggiasse sui resti di un antico tempio romano a causa di alcuni imponenti pezzi di muro che ne avrebbero potuto costituire parte delle fondazioni. Ipotesi questa che è stata contraddetta da recenti ricerche archeologiche, anche se la zona ha vissuto una notevole presenza romana.
Altri l'hanno fatta risalire al periodo longobardo, magari a Teodolinda; altri ancora hanno propeso per il periodo franco.
Si è concordi invece nel ritenere che in epoca franca, sotto i conti di Lecco, signori del territorio, sia stato costruito un primo edificio ecclesiale di forma rotonda che alcuni elementi architettonici, riutilizzati nella sua seconda ricostruzione, datano attorno al X secolo.
Non aiuta, per la datazione, la sua architettura che fra l'altro ha subito notevoli rimaneggiamenti e una ricostruzione tra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII. La sua struttura circolare, il suo sviluppo verticale e concentrico, la sua somiglianza con il Duomo vecchio di Brescia piuttosto che con il battistero di san Giovanni di Arsago Seprio ne impediscono una datazione antecedente l'anno 1000.
Il trascorrere del tempo, in un'epoca particolarmente tumultuosa, la probabile disattenzione dei fedeli pressati da altre urgenze e, non ultima, la tecnica di costruzione piuttosto primitiva contribuirono al degrado della primitiva chiesa attribuita al periodo franco.
Tale degrado doveva essere così grave all'alba del XII secolo da spingere il Vescovo di Bergamo alla ricostruzione ex novo del tempio, utilizzando le fondazioni del precedente e tutti quei materiali il cui stato ne consentiva il recupero, come le colonne ed i capitelli che furono riutilizzati nel piano terra della Rotonda.
Non si hanno atti storici da cui ricavare una data certa di questa ricostruzione ma dalla analisi stilistica della sua architettura, dallo studio dei materiali usati e della tecnica costruttiva è stato indicato come il più probabile il periodo che intercorre tra il 1130 e il 1150.
Solo dopo il 1180 compaiono atti da cui si desume l'esistenza della Rotonda a quella data.
Verso la fine del XII secolo furono aggiunti alla Rotonda il presbiterio e l'abside creando all'esterno un gioco di volumi ascendenti che ne snelliscono e movimentano la struttura.
Alla ricostruzione della chiesa di San Tomè seguì, alla fine del 1100 e su iniziativa dell'episcopato di Bergamo, la fondazione di un piccolo monastero femminile contiguo e unito alla chiesa stessa. Il monastero avrebbe dovuto assolvere, oltre all'esigenza di un luogo di preghiera e di rifugio femminile, alla custodia e alla manutenzione della chiesa. Anche in questo caso non si ha una datazione certa ma solo presunta; l'unica data sicura è quella riportata in un documento del 1203 che ne testimonia l'esistenza, ricavando da ciò che la sua costruzione era necessariamente antecedente, forse contemporanea a quella del presbiterio e dell'abside.
Il convento ospitò monache di provenienza locale appartenenti alla classe sociale medio-alta e qualcuna alla nobiltà di Bergamo.
Il monastero, sempre sottoposto all'autorità e al controllo episcopale, ebbe una vita abbastanza travagliata specialmente nel XIV secolo, con scandali di ordine morale e finanziario che ne minarono la credibilità.
Lentamente ma inesorabilmente iniziò la decadenza del complesso, accelerata anche dalle lotte tra guelfi e ghibellini che infuriavano nel territorio coinvolgendo San Tomè e il suo monastero. Il complesso monastico cessò di esistere come istituzione nel luglio del 1407 quando, con i suoi beni e la chiesa, fu incamerato dal Vescovo di Bergamo.
Dell'edificio conventuale non è rimasto altro che qualche traccia come i resti del muro d'innesto nella rotonda e tracce di fondazioni che si suppongono suoi.
Dopo l'incameramento del complesso di San Tomè, chiesa, convento e terreni da parte del Vescovo seguì un periodo d'incertezza e di abbandono.
I terreni, i beni più appetiti, furono dati in affitto ad affittuari a cui poco importava della chiesa che lasciarono nel più completo abbandono. Vi fu un effimero tentativo dell'episcopato di salvare dal degrado San Tomè e il convento affidandoli a degli eremiti ma con scarsi risultati. Si arrivò così al 29 aprile 1536 quando l'episcopato vendette il complesso ecclesiale alla Prepositura di San Salvatore di Almenno.
Il passaggio formale di San Tomè nella proprietà della prepositura di San Salvatore fu l'inizio di una lite plurisecolare.
San Tomè era stata precedentemente sottoposta alla giurisdizione canonica della parrocchia di San Bartolomeo pur rimanendo, tra alterne vicende, gestita di fatto dalla parrocchia di San Salvatore. L'atto di vendita che sanzionava questo stato di fatto costituì l'inizio di una lite che si sarebbe risolta solo nel 1907.
La situazione si aggravò maggiormente quando le due comunità che facevano riferimento rispettivamente alle parrocchie di San Bartolomeo e di San Salvatore furono giuridicamente suddivise, nel 1601, in due comuni separati, quello di Almenno San Bartolomeo e quello di Almenno San Salvatore.
L'autonomia non poteva non degenerare in campanilismo in presenza di una situazione oggettivamente bizzarra: una chiesa canonicamente dipendente da un ente era gestita di fatto da un altro ente.
Piccole ritorsioni e grandi gelosie portarono a manifestazioni popolari a volte violente e ad appelli alle massime autorità canoniche ivi compreso il Papa.
Solo nel 1907, a più di tre secoli dal suo inizio, e con l'intervento diretto di Papa Pio X la lite si risolse: San Tomè rientrò nella gestione di fatto e di diritto della parrocchia di San Bartolomeo di Tremozia da cui dipende tuttora.
San Tomè è uno dei più leggiadri esempi di architettura romanico-bergamasca con caratteri stilistici evoluti, anche se propri e tipici di tutto il romanico.
Si tratta di una costruzione a pianta circolare e a struttura piramidale formata da tre volumi cilindrici concentrici sovrapposti e degradanti, opera di artigiani sapienti e informati dei movimenti artistici che attraversavano l'Europa dell'epoca, capaci tuttavia di mantenere una propria autonomia espressiva tale da rendere la rotonda un'opera unica nel panorama romanico italiano.
La rotonda suggerisce una sensazione di eleganza e di leggerezza a cui contribuiscono le nervature verticali, delle semicolonne sul primo corpo, che ad intervalli quasi regolari ne scandiscono e slanciano la superficie esterna.
Il gioco delle ombre creato da queste nervature conferisce all'edificio un aspetto quasi teatrale che si inserisce in un paesaggio campestre, alla sommità di un pendio boscoso, fiancheggiato da filari di alberi cui fa da quinta, in lontananza, la corona delle Orobie in una sorta di magica e surreale sovrapposizione di fondali, di toni, di contesti.
La parete esterna del secondo volume, il matroneo, è alleggerita da lesene piatte, mentre quella del terzo, la lanterna, non presenta sporgenze ma quattro eleganti bifore contrapposte che ne sottolineano la leggerezza.
Dalla parte posteriore della rotonda fuoriescono il presbiterio rettangolare e l'abside semicircolare,
« secondo un andamento scalare, definito dalle due differenti quote di imposta delle coperture che incentivano, di sicuro non casualmente, una scansione di cinque gradoni che portano alla sommità. Verso l'alto. »
L'insieme, presbiterio e abside, innervato nella parte orientale della rotonda, secondo la più diffusa tradizione romanica restituiscono un effetto plastico di grande armonia architettonica.
Le pareti, incorniciate nel sottogronda da una ornatura ad archetti nei primi due volumi della rotonda, ad archetti intrecciati nell'abside e nel presbiterio, presentano delle finestrelle e delle feritoie che oltre a snellire la struttura ne costituiscono efficaci sorgenti di luce.
L'interno del primo corpo è caratterizzato da otto colonne che seguono un percorso circolare creando due spazi concentrici con degli effetti chiaroscurali di particolare fascino; la parete circostante è scandita da nicchie che ne muovono lo sviluppo in un magico gioco d'ombre esaltato da semicolonne su cui poggiano eleganti capitelli; vi è anche traccia di un affresco ancora leggibile.
Il matroneo, il corpo superiore, presenta anch'esso otto colonne, sovrastanti quelle inferiori, che creano un corridoio circolare, il deambulatorio, che si affaccia sul vuoto centrale del corpo inferiore.
Alcune tracce di affreschi piuttosto degradati ingentiliscono l'absidiola del matroneo. L'affresco, di anonimo, raffigura un'Annunciazione ed è racchiuso in una mandorla che copre la parte interna della semicupola dell'absidiola. Dio, al centro e in posizione dominante, campeggia la scena mentre si svolge il dialogo fra l'Angelo e la Vergine in una narrazione permeata da rustica vivacità e da attenzione per il particolare.
Si tratta di un'opera, probabilmente trecentesca, dai colori vivi e dalla descrizione vivace e realistica, che testimonia la devozione popolare verso la Vergine: tema piuttosto comune e diffuso nell'iconografia religiosa dell'epoca nel territorio.
La decorazione della rotonda, prevalentemente di tipo scultoreo, è costituita dalle colonne che suddividono le aree del corpo principale e del matroneo, dalle mezze colonne appoggiate alle pareti interne e dalle nicchie inserite nelle pareti stesse.
Molto belli e splendidamente scolpiti i capitelli delle colonne di entrambi i corpi, come quelli che concludono le mezze colonne e le lesene piatte disposte sulle pareti.
I motivi ornamentali prevalenti dei capitelli che definiscono il deambulatorio del corpo inferiore sono di tipo geometrico, una rivisitazione locale di archetipi decorativi longobardi da cui si discostano alcuni capitelli di tipo corinzio e figurato appoggiati alla parete.
I capitelli del matroneo, diversi uno dall'altro e variamente scolpiti con figure zoomorfe, umane e geometriche, presentano una maggiore varietà decorativa e una più ricercata fattura stilistica.
Alcuni di questi sono aniconici mentre altri rappresentano figure bibliche o simboli evangelici che richiamano quelli scolpiti sull'ambone romanico della pieve di Almenno San Salvatore.
La diffusione e distribuzione della luce all'interno della rotonda diventa elemento decorativo teso a esaltare gli apparati architettonici che fanno da proscenio alle funzioni liturgiche.
La proiezione delle ombre create dalle colonne e la scelta della aperture rispondono a un disegno tipico dell'architettura romanica attenta ai cicli solari nelle diverse stagioni, nei diversi luoghi, nelle diverse ore: la monumentalità dell'edificio è esaltata dai giochi di luce che la scansione del tempo crea.
Sul tutto svetta la lanterna circolare da cui piove all'interno una luce quasi mistica che attira lo spettatore al centro della rotonda.
Durante gli equinozi un raggio di sole attraversa la rotonda e colpisce il tabernacolo posto nell'abside creando così uno spettacolo affascinante e magico in cui le colonne sembrano muoversi come muti officianti.
Bellissima, la Rotonda parla di un'arte romanica semplice e complessa insieme, che certamente ha conosciuto l'influenza dei Maestri Comacini, di segreti depositati nelle sue pietre a partire dalla sua forma circolare, che secondo alcuni vuole replicare il Santo Sepolcro di Cristo a Gerusalemme.
L'ex monastero è oggi un bel complesso che ha conservato in parte l'antica architettura ed è divenuto sede del Centro Studi Romanico Lombardo. Vi si svolgono conferenze, c'è uno spazio espositivo, una biblioteca/mediateca specializzata in storia dell'arte medievale, un piccolo museo, un punto di ristoro e uno di informazioni, in cui si possono ritirare mappe dei percorsi, audioguide, o acquistare pubblicazioni. Da qui partono gli itinerari di visita guidata collegati alla Rotonda ma anche ad altri tre edifici romanici (Madonna del Castello, San Giorgio, San Nicola, tutti interessantissimi); inoltre sono possibili escursioni turistiche nel territorio alla scoperta della gastronomia locale. Il tutto in un contesto che viene appellato Parco del Romanico degli Almenno, che tra le altre attività organizza convegni divulgativi di alto profilo culturale.
Nella prima fase di edificazione furono codificate le direzioni astronomiche fondamentali che hanno condizionato la posizione topografica e l'orientamento in tutte le successive fasi di riedificazione e di evoluzione del tempio. Guardando l'orizzonte visibile a est del San Tomè (dalla parte dell'abside), esso è caratterizzato da una catena di monti: quello collocato di fronte è il Monte Canto Alto, mentre a sinistra il Monte Ubione. Nell' VIII secolo, il punto di levata del sole il giorno del Solstizio d'estate dietro il monte Canto Alto ha determinato la scelta geografica del luogo dove erigere questo tempio, poichè veniva a trovarsi in allineamento perfetto con il centro dell'edificio circolare stesso. Concordiamo con la tesi dello studioso in merito al fatto che l'idea di un 'centro sacro', per gli architetti medievali, non rappresentava soltanto l'identificazione di un particolare punto sul territorio ma assumeva le caratteristiche cosmogoniche del centro del mondo conosciuto. Attorno ad esso si erigevano e si sviluppavano edifici sacri e civili, la città intera. Tale punto, nella concezione del tempo, veniva indicato dalla volontà divina (talvolta manifestatasi con fenomeni naturali/celesti cui si attribuiva un significato trascendente; apparizioni mariane, eventi prodigiosi o fonti d'acqua miracolose) e veniva contrassegnato da una pietra (che naturalmente diveniva 'sacra' o un omphalos), un'ara o un altare, sul quale si costruiva il tempio di culto, che doveva rispettare determinate regole, perchè -come replica del cosmo che per natura è 'pertinenza di Dio' - doveva armonizzarsi con esso ed enfatizzare i fenomeni naturali integranti come le albe, i tramonti, i punti cardinali, i Solstizi e gli Equinozi, ma anche il passaggio di talune stelle e perfino le fasi lunari. Un piccolo cosmo in miniatura che scandiva i cicli giornalieri (le ore), mensili, stagionali, annuali e anche oltre. La chiesa va quindi inquadrata -nella sua lettura- secondo precisi orientamenti astronomici che i costruttori vi hanno decodificato.
Il primo edificio noto sotto l'attuale Rotonda di Tomè era formato da un cerchio con un prolungamento verso est di due muri paralleli, le cui attaccature delimitavano due direzioni astronomicamente significative: una allineata verso il punto di levata della Luna al lunistizio estremo superiore e l'altra verso la levata eliaca (del Sole) agli Equinozi. Anche nella seconda fase edificatoria, le correlazioni astronomiche risultano simili, e secondo le ricerche del prof. Gaspani questo tipo di conoscenza è riconducibile alla maniera di costruire nord -europea dell'alto medioevo, appannaggio dei monaci Irlandesi, che risentivano di influenze celtiche. L'orientazione 'solstiziale' divergeva dai dettami della Chiesa di Roma, che prescriveva quella 'equinoziale' per gli edifici di culto cristiani; si evince pertanto che il substrato culturale degli architetti incidesse parecchio sulla realizzazione della costruzione e si ritiene che nell'alto medioevo fosse infarcito di 'modelli' pagani.
La posizione delle colonne in circolo non è casuale: secondo gli studi archeoastronomici condotti dal prof.Gaspani, due colonne stabiliscono la direzione nord- sud celeste (cioè la direzione del meridiano astronomico locale), altre due scandiscono la direzione est- ovest astronomica, cioè equinoziale (che è ortogonale alla meridiana), le direzioni cardinali intermedie sono stabilite dalle rimanenti quattro colonne.Una sola delle otto colonne ha una base ottagonale e anche questo non è frutto del 'caso' poichè essa -con un'elevata probabilità (88%)- si trova in un punto 'astronomicamente significativo' che in base ai rilievi topografici si materializza nel fatto che per il centro del suo piedistallo passa il meridiano astronomico locale, prolungandosi poi per il centro geometrico della Rotonda e per quello della colonna circolare posta di fronte sullo stesso asse nord-sud. Ma prolungando ulteriormente e virtualmente questa direzione astronomica verso il Nord astronomico, e tenendo presente la direzione solstiziale estiva stabilita dall'asse del presbiterio, si ha che il punto in cui queste due 'direttrici' si intersecano, costituisce il centro della Rotonda. Eseguendo un semplice test all'interno dell'aula sacra, il dr. Gaspani ha teso una corda tra il basamento della colonna ottagonale e quello della opposta colonna nel matroneo al secondo piano; nel prolungamento verso l'alto, virtualmente ottenuto, si interseca la Sfera Celeste in prossimità del Polo Nord Celeste, in direzione parallela all'asse di rotazione terrestre. Dall'analisi della geometria inserita nell'edificio, usata per 'dimensionare il cilindro principale di cui è costituito, lo studioso ha anche trovato un'altra importante chiave: la chiesa codificherebbe l'inclinazione dell'asse terrestre rispetto al piano della sua orbita. Parrebbe tutto calcolato e che l'architetto doveva possedere delle conoscenze piuttosto specifiche in materia probabilmente un monaco, dato che i monasteri erano la vera fucina del sapere in quel tempo, che doveva avere anche un'equipe di collaboratori al pari preparati. Tuttavia la prerogativa principale che costoro dovettero possedere era certamente l'osservazione del cielo.
Il primo piano presenta la monofora centrale dell'abside disassata verso sud di circa 6 gradi rispetto al presbiterio, per cui non è in asse con la navata, che è allineata con la levata del Sole dietro il Monte Canto Alto al solstizio estivo (calcolato il 16 giugno, al tempo in cui fu realizzata) ma risulta 'deviata' per essere allineata con il sorgere del sole di un giorno di Pasqua di metà aprile in cui una particolare 'alba' si potè vedere entro la sella di tre Monti all'orizzonte visibile. Gaspani propone alcune possibili date in cui questo fenomeno si è verificato nel periodo che coinvolgerebbe la rotonda: il 919, il 1014,1109, 1204. Dalla porta principale situata sul lato occidentale tramonta invece il sole al solstizio invernale.
Intervengono anche orientazioni in base ai lunistizi, sia nelle monofore laterali dell'abside al primo piano che in quelle del matroneo.
Nei giorni di equinozio (ma anche qualche giorno prima e dopo), è possibile assistere ad un suggestivo fenomeno: verso le 17.20 (ora locale) viene proiettato un fascio di luce sull'altare, che assume l'aspetto di un disco solare che illumina il tabernacolo (messo nel XIX secolo). In origine è assai probabile che andasse però a colpire una pietra sacra collocata poco più avanti dentro l'abside.
Indagini archeologiche hanno portato a considerare che l'edificio potesse essere circondato da un recinto murario provvisto di aperture laterali.
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