venerdì 10 luglio 2015

LEONARDO DA VINCI E LECCO

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L’interesse di Leonardo da Vinci per le montagne e per il paesaggio alpino è evidente e ben noto agli storici dell’arte.
La corrispondenza estetica fra le montagne, luogo espressivo delle grandi forze naturali, e l’animo umano, teso alla conoscenza dell’ignoto, è percepibile in varie celebri tele leonardesche.
Il pittore non guarda più agli elementi naturali secondo una logica di pura oggettività inerte, ma osserva la realtà cercando di trascenderla alla ricerca delle sue origini e della connotazione delle forze che la animano. Le montagne, le rocce, le caverne, sono ora il simbolo perfetto di quell’energia vitale che fluisce nell’universo, determinando le condizioni della vita e scatenando l’immane e spesso arcana dialettica degli elementi, che nei mari, nelle montagne e nei cieli, come nell’animo umano, provocano inspiegabili, irrazionali disordini.
Per Leonardo, nelle montagne è racchiuso il segreto dell’antichità del mondo, ed in esse si realizza, in modo oscuro ed immane, una parte essenziale del grande ciclo cosmico che lega insieme roccia, acqua, cielo e ventre della terra.

Emerge dunque una montagna intesa ancora come luogo completamente appartenente alla dimensione dell’irrazionale, del magico e del simbolismo di marca comunque religiosa. Prima che quest’immagine della montagna scompaia dall’immaginazione popolare dovranno passare quasi altri trecento anni.
Del tutto distante, per propria natura, dalle convinzioni dei più, Leonardo da Vinci non mostra solo un interesse teorico per le montagne, ma le va ad esplorare di persona, facendosi a suo modo alpinista, forse memore delle esperienze del suo predecessore Petrarca. In un brano famoso egli descrive la sua principale ascensione, compiuta, si ritiene oggi, nella zona del Monte Rosa, talora anticamente chiamato Momboso:

Dico, l’azzurro in che si mostra l’aria, non essere suo proprio colore, ma è causato da umidità calda, vaporata in minutissimi e insensibili atomi, la quale piglia dopo sé la percussion de’raggi solari e fassi luminosa sotto la oscurità delle immense tenebre della regione del fuoco, che di sopra le fa coperchio. E questo vedrà come vid’io, chi andrà sopra Momboso, giogo dell’Alpi che dividono la Francia dalla Italia, la qual montagna ha la sua base che partorisce li quattro fiumi, che rigan per quattro aspetti contrari tutta l’Europa: e nessuna montagna ha la sua base in simile altezza. Questa si leva in tanta altura, che quasi passa tutti li nuvoli, e rare volte vi cade neve, ma sol grandine di state, quando li nuvoli sono nella maggiore altezza; e questa grandine vi si conserva in modo, che,  se non fosse la rarità  del cadervi e del montarvi nuvoli, che non accade due volte in una età, egli vi sarebbe altissima quantità di diaccio, innalzato dalli gradi della grandine. Il quale di mezzo Luglio vi trovai grossissimo; e vidi l’aria sopra di me tenebrosa; e’l sole, che percotea la montagna, essere più luminoso quivi assai, che nelle basse pianure, perché minor grossezza d’aria s’interponea in fra la cima d’esso monte e’l sole.

Ma questa non fu certo l’unica esperienza fatta da Leonardo in ambiente alpino, dato che proprio a questo periodo della sua vita risalgono alcuni brevi viaggi compiuti da Milano, ove era tornato per la seconda volta, verso la Brianza e le montagne prealpine.
Del resto già in età giovanile, nell’epoca del soggiorno a Firenze (1452-1482), Leonardo aveva avuto modo di entrare in contatto con gli squarci di natura montana dell’Appennino e ne era rimasto affascinato, cosicchè le rocce, le cime, i boschi, sono già presenti in alcuni dipinti famosi.
La più significativa rappresentazione alpina leonardesca risale comunque al secondo periodo milanese: dobbiamo attendere una tranquilla e soleggiata giornata dei primi anni del sedicesimo secolo, presumibilmente il 1511. Leonardo, che ha ormai cinquantanove anni, e che è ritornato a Milano nel 1506, raffigura un gruppo montuoso dai contorni precisi, in un piccolo disegno a sanguigna, oggi conservato presso la collezione di Windsor.

Le montagne che circondano Lecco sono di una bellezza tale da aver addirittura impressionato Leonardo Da Vinci che, nelle vesti di scienziato le studiò attentamente e le descrisse ne Il Codice Atlantico, e nelle vesti di artista le dipinse nei suoi quadri. Le montagne delle due Vergini delle Rocce (al Louvre e alla National Gallery) sono, o sono largamente ispirate da, le belle montagne lecchesi.

“Nessuna cosa si può amare, né odiare, se non si ha piena cognizione di quella. Così Leonardo scriveva nel suo trattato di pittura , quindi non si può amare, né si può dire di conoscere a fondo l’opera del genio fiorentino, senza conoscerne in maniera approfondita quel che ci riguarda direttamente ovvero l’uso che egli faceva dei paesaggi che fanno da sfondo ai suoi dipinti, per nulla casuale, del meraviglioso territorio. Molti dei paesaggi ritratti da Leonardo sono legati al corso dell’Adda e alle Grigne, montagne uniche nel loro genere che egli ebbe modo di studiare con attenzione durante il suo soggiorno milanese presso la corte degli Sforza. Senza comprendere l’uso dei paesaggi da parte di Leonardo e i contenuti di carattere esoterico inseriti nelle sue opere, è impossibile cogliere il senso profondo sotteso alla sua arte pittorica."

Leonardo ben conosceva le qualità della natura del territorio lecchese, dai picchi fantastici e dai serpeggianti specchi di acque, ora calme ed ora improvvisamente sconvolte dalle forze della natura. Il disegno 12409 (codice Windsor) non è altro che una veduta di Lecco medioevale sulla quale irrompe uno di quegli acquazzoni primaverili che noi tutti abitanti della zona conosciamo.
Di assoluta stupefazione deve essere stato l’impatto che l’Artista, nato e cresciuto fra i colli toscani, ebbe con la Lecco medioevale, in parte arroccata ai piedi del vertiginoso monte San Martino, in parte immersa nella conca compresa fra il Resegone, il Barro, il Moregallo ed i Corni di Canzo e lambita dalle acque lacustri.
Nei codici di Windsor, si rintracciano disegni di creste nevose che appartengono al paesaggio lecchese: il massiccio centrale delle Grigne, visto dai Monti di Brianza da lui percorsi, oppure dall'Altopiano di Limonta; il profilo frastagliato del Due Mani e del Resegone ritratti dal Lago di Oggiono e da Garlate; e l'uragano in una valle fra i monti, che in una flottiglia di nuvole basse, radunate fra il Moregallo e il S.Martino, squassa di venti la conca di Lecco, secondo l'interpretazione di Castelfranco.
Altre montagne colpiscono Leonardo nelle loro macchie diverse, con "li sassi (che) tengono naturalmente di colore declinante in azzurro e l'aria che si interpone li fà ancora più azzurri e massime nell'ombre loro"; sembra questo l'emergere dei rilievi lariani dalle nebbie della dolce primavera lombarda.
Leonardo fu più volte in queste zone tra 1483 e 1498, vide la Brianza, si recò a Bellagio per l'ospitalità del marchesino Stanga, passò ad osservare il fenomeno del Fiumelatte, per la via di Lecco entrò nella Valsassina a vedere miniere ed officine del ferro e del rame, la mastodontica groppa della Grigna "pelata" ed altre "cose fantastiche", tra i quali forse la cavità di tipo carsico di cui è ricca la zona delle Grigne la grotta di Moncòdeno è certamente la più curiosa: il calcare, tradizionale protagonista delle sculture sotterranee - stalattiti, stalagmiti, panneggiamenti - viene infatti sostituito dal ghiaccio che dà vita a un mondo incantato in rapido e perenne mutamento. E' una ghiacciaia naturale, un gioiello dimenticato la cui suggestione ha per secoli attirato scienziati, esploratori e visitatori occasionali.
   
Sono le stesse rocce che compaiono tante volte sullo sfondo dei suoi dipinti, la Gioconda, la Madonna e S.Anna, la Vergine delle Rocce, da intendere forse solo come simboli sintetici del rapporto con la vita.
E’ bene, dunque, sottolineare ancora una volta come il fascino dei monti e dei fiumi lombardi abbia suggestionato a tal punto Leonardo da indurlo a riportare questi profili in alcune sue tavole più famose, a partire dalla “Vergine delle rocce” sino ad arrivare alla più nota “Gioconda”, con alle spalle un paesaggio che ha destato, anch’esso, controverse interpretazioni. Vi si notano il Resegone, le Grigne, i laghi. Perfino il curioso ponticello dalle tipiche arcate di misura variabile è identificabile nel ponte Azione Visconti, di architettura assai diversa dai ponti toscani.
Le osservazioni che si possono fare nella Vergine delle rocce  sono i roccioni  riconducibili alle guglie della Grigna settentrionale e in particolare al Sasso Cavallo e al Sasso dei Carbonari. Raffigurata a lato della spalla sinistra si può notare una piantina di Mapello (Aconicum napellus), specie prettamente endemica della Grigna Settentrionale.



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