Il ramo occidentale della Vai Seriana è dominato dall'immensa chiara mole della calcarea Presolana, la "montagna" per antonomasia dei bergamaschi. Ai suoi piedi, da millenni, industriose popolazioni hanno tratto sostentamento e vita dai suoi pascoli, dai suoi boschi, dalle sue acque e dalla sua bellezza.
Una grande "madre" di pietra che affascina e intimorisce, e attorno alla quale non potevano non nascere cento e cento leggende, a cominciare proprio da quella che cerca di spiegarne il misterioso nome. Si racconta infatti che sulle pendici dei monte vivessero, nei primi secoli dopo Cristo, diverse feroci tribù barbare spesso in lotta tra loro. Una di queste aveva come capo il potente re Lana, che seppe condurre la sua gente al predominio sulle altre dopo aver conquistato le parti più alte della valle e costruito una solida roccaforte proprio ai piedi delle scoscese creste sommitali del monte, nel luogo indicato ancor oggi come "Grotta dei Pagani". Ma la roccaforte non seppe reggere l'assalto di un esercito invasore e, nel 464, il re Lana venne sconfitto. E da quella "presa di Lana" sarebbe nato, appunto, il nome della montagna: Presolana. Legata invece alla intensa attività pastorale, che dei resto continua in parte ancora ai nostri giorni con l'utilizzo delle numerose malghe che sorgono sui fertili pascoli di tutto il versante, meridionale dei monte, è la leggenda della Cavra besula, presente con alcune varianti anche in altre località montane bergamasche e bresciane.
I pastori raccontavano spesso di notti di luna piena passate nel terrore per il furibondo e inspiegabile latrare dei cani, accompagnato da sinistri rintocchi di campanaccio. Nessuno mai aveva avuto il coraggio di abbandonare le sicure pareti della malga per scoprire la causa di tale trambusto. Ma un mandriano coraggioso decise di svelare il mistero e in una notte di luna piena, non appena udito il campanaccio, si avventurò fuori dalla baita. Un'enorme capra dagli occhi fiammeggianti gli si parò improvvisamente davanti, spaventandolo in tal modo che il poveretto iniziò una irrefrenabile fuga e nessuno lo vide mai più, né sui pascoli, né in paese. E la Cavra besula continuò quasi sino ai nostri giorni ad incutere un timoroso rispetto ai valligiani.
Numerose sono le versioni che vorrebbero fornire il nome di questa montagna, e molte hanno uno sfondo leggendario. La più suggestiva deriverebbe dall’espressione latina “Presa-Alana”, con riferimento ad una battaglia che vide la sconfitta del popolo degli Alani ad opera dei Romani (o in un’altra versione per mano di Carlo Magno) proprio in quella zona. Si dice che fu un’immensa carneficina, tanto che alla valle in cui accaddero questi scontri, prima chiamata Valle Decia, venne cambiato nome in Calve (attualmente Valle di Scalve) a causa “della calvarie d’ossa spolpate avanzate al grande macello”.
Sempre secondo la leggenda si dice che, nelle notti di tempesta, gli spiriti degli Alani vaghino ancora tra le rocce di questa montagna. Altre leggende vedono coinvolti folletti, spiriti e splendide fanciulle, ma la versione più credibile resta quella più recente, secondo la quale il nome Presolana deriverebbe dal dialetto praizzöla (in italiano “praticciolo”) per via dei piccoli prati presenti sulle proprie pendici.
Correva l'anno 1871, e lo stupendo splendore della conca della Presolana era già nota anche all'estero.
Infatti, durante il dominio austriaco risalente agli anni precedenti l'unità d'Italia, parecchie compagnie militare dell'impero asburgico avevano avuto modo di contemplare le bellezze di tali luoghi.
Alcuni di loro si erano anche trasferiti nelle valli circostanti, tant'è che i loro discendenti vivono tutt'ora nella cittadina di Clusone.
Alcuni dei militi rimasti in Italia provenivano dagli oriundi Polacchi, e anche loro magnificavano le bellezze di tale terra ai parenti polacchi, durante la corrispondenza che inviavano loro periodicamente.
Uno di questi, un certo Massimiliano Prihoda, polacco e musicista di professione, si trovava in Italia per tenere un concerto alla Scala e non volle perdere l'opportunità di andare a trovare i parenti trapiantatisi a Dorga, una località della conca della Presolana.
Affascinato dalla bellezza dei posti, e dalla maestosità dei panorami delle montagne, passava ore e ore nello scrivere spartiti, immerso nella quiete dei posti.
Il luogo prediletto era la sommità di un dirupo dal quale poteva rimirare le montagne circostanti che percorrono la Valle di Scalve e la Valle Canonica.
Affascinato ed innamorato dai posti, decise di tornarvi definitivamente con la giovane moglie, Anna Stareat. Ritornato in Polonia vendette la casa, sistemò i suoi affari, e tornò in Italia con la moglie.
Tutti i giorni la giovane coppia percorreva il sentiero che conduceva al dirupo per contemplare il paesaggio e la moglie, affermata pittrice, trovava degna ispirazione per i suoi quadri, mentre il marito scriveva spartiti musicali.
La giovane coppia fu presa a benvolere dagli abitanti del luogo. Sempre insieme, con il sorriso sulle labbra, sempre con la mano nella mano, e con una parola affabile per tutte le persone che incontravano. Alla fine, Massimiliano e Anna, divennero per gli abitanti del posto, semplicemente " gli sposi ". Ma un giorno capitò la tragedia.
Secondo le varie testimonianze raccolte presso gli abitanti, verso la fine del mese di settembre, dell'anno 1871, e dopo un tremendo acquazzone, gli sposi si recarono presso il dirupo per rimirare il panorama abbellito da un tenue arcobaleno.
Anna dipinse il ritratto del marito con sullo sfondo la montagna del Pizzo Camino, e Massimiliano scrisse una composizione dedicata alla moglie.
Per qualche inspiegabile motivo, mentre la luna stava sorgendo, i giovani sposi raggiunsero l'orlo dello strapiombo e si gettarono di sotto abbracciati.
Furono trovati il giorno dopo alla base del dirupo. ancora abbracciati, dalla guardia boschiva Bortolo Dovina.
Il fatto rimane tuttora avvolto nel mistero nonostante le diverse indagini effettuate a suo tempo.
Il quadro dipinto da Anna, e lo spartito di Massimiliano scritto per la moglie, furono consegnati ai loro parenti e oggi sono gelosamente custoditi da una famiglia di nobili di origini polacche.
A ricordo della tragedia, e in memoria dei due sposi, da allora il precipizio è chiamato " il Salto degli Sposi " e per anni la triste storia non fece altro che alimentare le pagine dei quotidiani locali.
Secondo una antica leggenda, un giorno il Diavolo decise di sfidare Dio invitandolo sulla cima del Monte Clemo, da dove la vista poteva spaziare sulla Valle Camonica e lungo tutta la catena dell'Adamello, sulla Valle Borlezza fino al massiccio della Presolana, sulla Valle Cavallina fino a tutto il bacino del Lago di Endine e sul Lago d'Iseo e Monte Isola, fino quasi alle colline della Franciacorta.
La posta in gioco era il dominio sulle anime che popolavano le quattro vallate sottostanti. La sfida consisteva nel lanciare il più lontano possibile uno di quei massi rossastri, arrotondati e grossi, che si trovano sparsi sui pascoli del Monte Clemo.
Satana, lo sfidante, lanciò per primo la sua pietra che cadde non molto lontano, su un colle della località Pratilunghi, dinanzi alla Valle del Freddo, rompendosi in quattro.
Fu allora il turno di Dio. Egli lanciò il suo enorme masso che giunse addirittura al di là della valle, sui prati di Possimo.
Il Demonio vedendosi sconfitto, per la collera, battè con tale forza il tallone sulla roccia che la montagna con un rombo assordante si frantumò, inghiottendolo fin nelle viscere dell'inferno. E dalle profondità nelle quali era sprofondato, il Diavolo iniziò ad alitare un vento gelido, una sorta di respiro malefico, che ancor oggi si può sentire.
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